100 trilioni di coinquilini: il microbiota umano e la sua importanza

Siamo abituati a considerarci individui, e nella società moderna l’individualismo e l’egocentrismo sono concetti popolari, anche se in realtà, nessuno di noi è mai davvero solo.

 

Ogni essere umano è in realtà una società composta da svariati miliardi di cellule, ma non è tutto qui. Le cellule che compongono il nostro organismo, non sono solo quelle che condividono tutte lo stesso DNA: esiste una “società nella società” che abita il nostro corpo.

 

Una comunità numerosa e ben strutturata di “lavoratori a contratto” che ospitiamo nei vari distretti del nostro organismo, senza i quali, letteralmente, le nostre meravigliose città pluricellulari collasserebbero.

 

Sto parlando del cosiddetto microbiota, una ricca e numerosa comunità di organismi unicellulari che hanno stretto una alleanza con i pluricellulari, (non solo con gli esseri umani, ma con tutti i pluricellulari, in realtà).

 

Spesso si parla di queste comunità come microbioma intestinale, una imprecisione terminologica, le comunità cellulari che non condividono il nostro DNA (batteri e funghi, perlopiù) si definiscono più correttamente microbiota, e anche il termine umano è preferibile a intestinale per descrivere più fedelmente la natura simbiontica del microbiota, che, come vedremo, non colonizza solo l’intestino.

 

Per essere ancora più precisi, con microbiota si intende l’insieme di microrganismi vero e proprio, mentre con il termine microbioma si fa riferimento al patrimonio genetico del microbiota.

 

Il microbiota può raggiungere la sbalorditiva quantità di 100 trilioni di cellule, perlopiù batteriche, che si dividono le reciproche postazioni tra bocca, cavo orale, stomaco e intestino, ma non solo: altre cellule batteriche, ma anche fungine, colonizzano la nostra cute e anche queste svolgono funzioni vitali.

 

In un uomo “medio” (20-30 anni di età, 1,70 m di altezza per 70 kg di peso), ci sono circa 10.000 miliardi di cellule e 100 trilioni di batteri.

 

 

Tutta questa comunità ha un peso variabile da 900g fino ad un chilo e mezzo, e, per la sua importanza, è stata recentemente ribattezzata “il quarto organo” dell’apparato digerente!

 

Ma cosa ci fanno tutti questi “lavoratori a contratto” all’interno delle nostre popolose città pluricellulari? Continuando con la metafora sociale, potremmo dire che sono i nostri “addetti ai servizi”, si occupano di rendere disponibili per le nostre cellule alcuni servizi essenziali, tenere alla larga la concorrenza disonesta e, perché no? esercitare un po’ di monopolio su beni e servizi da loro prodotti, che sono della migliore qualità.

 

Sto parlando di un processo, ben conosciuto tra gli organismi viventi, detto simbiosi mutualistica. Nella simbiosi due o più organismi di specie diversa si uniscono a formare una sorta di patto di mutua assistenza, dal quale ciascun contraente trae un vantaggio e, importante, nessuno ha un danno.

 

Le specie di batteri che colonizzano il nostro corpo lo fanno con l’universale beneplacito del nostro sistema immunitario, che si occupa di eliminare senza pietà qualsiasi organismo venga riconosciuto come estraneo alle cellule che compongono l’individuo, tuttavia, per questi lavoratori esterni, il sistema immunitario, non solo fa una eccezione, permettendo a batteri e altri unicellulari di vivere e moltiplicarsi all’interno delle nostre cavità corporee ma, e questa è una scoperta assai recente, coopera e si fa aiutare da queste cellule per riconoscere, isolare e eliminare gli intrusi.

 

Nell’interessante lavoro di revisione dello stato dell’arte della materia, “The Gut Microbiome Alterations in Allegic and lnflammatory Skin Diseases – An Update” Polkowska et al. (2019) prendono in considerazione il delicato equilibrio che si instaura tra le cellule dell’organismo umano e il microbiota intestinale, partendo dalla condizione ottimale, detta di omeostasi, nella quale l’organismo e il suo microbiota sono in una condizione di equilibrio, nel quale le comunità batteriche residenti sono stabili e composte da specie ben adattate alla convivenza pacifica con i pluricellulari.

 

In tali condizioni, l’azione di questi lavoratori a contratto può estrinsecarsi nel modo migliore e declinarsi in molteplici campi di applicazione: i batteri aiutano gli organismi ospiti nella digestione del cibo, attraverso processi di fermentazione e digestione batterica mettono a disposizione dei “padroni di casa” una vasta gamma di molecole nutrienti e rendono biodisponibili molte vitamine, la loro sola presenza regola alcuni parametri chimico-fisici del lume intestinale e lo rende meno accogliente per eventuali invasori con intenzioni meno cooperative: gli stessi batteri intestinali, infine, cooperano con il sistema immunitario per eliminare o circoscrivere le invasioni da parte di batteri o virus patogeni.

 

 

Si è scoperto anche che il processo di colonizzazione batterica del tratto digerente nel neonato, che durante la sua vita fetale è privo di microbiota a causa della barriera placentare, e che acquisisce il primo nucleo di batteri simbionti durante il parto, attraverso il contatto con le vie genitali materne, gioca un ruolo cruciale nell’evitamento di alcune patologie immunitarie che colpiranno il bambino o l’adulto anche parecchi anni dopo la nascita.

 

L’instaurazione di una corretta comunità di simbionti unicellulari regola e favorisce lo sviluppo di una risposta immunitaria di Tipo 2 rispetto alla risposta di Tipo 1 nei confronti dei patogeni: sembra addirittura che un rapporto errato tra la risposta immunitaria di Tipo 1 e la risposta di Tipo 2 possa promuovere patologie autoimmuni molto gravi quali il lupus eritematoso, la celiachia e il diabete di Tipo 1.

 

E queste sono solo alcune delle interazioni note tra i nostri coinquilini e noi: ma loro che cosa ci guadagnano?

 

In primo luogo, la protezione: i nostri complessi organismi pluricellulari sono luoghi accoglienti e sicuri, in cui è possibile vivere e costruire una comunità che ha buone probabilità di poter vivere indisturbata per una settantina d’anni, se non di più.

 

In secondo luogo, la disponibilità costante e ininterrotta di cibo, già pronto e digerito, e di buona qualità, che i batteri devono soltanto metabolizzare e elaborare, permettendoci di sfruttarne appieno le potenzialità nutritive, estraendo da esso vitamine e oligoelementi.

 

Questo finché tutto va per il verso giusto, naturalmente. Già, ma cosa succede quando le cose cominciano ad andare storte?

 

 

Cosa succede quando i manager e i responsabili delle risorse umane di questa gigantesca azienda che è il nostro organismo cominciano a non pagare gli stipendi?

 

Quando intere aree produttive vengono abbandonate a sé stesse, la materia prima che i lavoratori ricevono è scarsa, di pessima qualità o i macchinari non vengono più sottoposti a manutenzione?

 

I lavoratori stessi capiscono che l’azienda non è più un buon posto in cui stare. Sto parlando delle cosiddette “disbiosi”.

 

Ogni volta che il nostro ritmo sonno/veglia viene alterato, o si ha l’introduzione di molecole tossiche come alcool, nicotina, stupefacenti oppure l’assunzione di alimenti poveri di fibra e ricchi di grassi e conservanti, e ancora lo stress sociale, la scansione dei pasti e i digiuni prolungati così come abbuffate pantagrueliche: tutti questi sono stress che mettono sotto pressione, oltre che noi, anche i nostri preziosi lavoratori a contratto.

 

L’azienda ordinata e produttiva alla quale erano abituati si è d’un tratto trasformata in un posto di lavoro caotico e incoerente in cui gli stipendi vengono pagati di rado, le materie prime arrivano senza più regolarità, e l’orario di lavoro è terribile.

 

Ecco che le nostre maestranze entrano in sciopero. Molte decidono di andarsene, lasciando il posto a lavoratori meno esigenti, ma anche assai meno fedeli all’azienda, gente che arriva solo per portare a casa lo stipendio, insomma.

 

Studi clinici hanno mostrato alterazioni significative nella composizione in specie del microbiota umano conseguenti a fattori ambientali quali:

 

  • A) comportamenti alimentari scorretti;
  • B) stress psicosociale;
  • C) isolamento sociale o relazioni sociali insoddisfacenti;
  • D) scarsa o nulla attività fisica;
  • E) abuso di alcool e sostanze stupefacenti;
  • F) alterazione dei ritmi circadiani;
  • G) assunzione di antibiotici in modo non controllato.

 

In tutti questi casi, chiamati in termini generali perdita dell’omeostasi microbiologica o disbiosi, il patto simbiotico tra microorganismi e cellule dell’organismo viene meno, il microbiota intestinale può morire, oppure trasformarsi da simbionte in parassita, cercando cioè di strappare all’organismo tutto quel che può, e che prima era disposto a condividere.

 

Infine, il venir meno ai patti di collaborazione fa cessare anche l’azione di esclusione che i batteri del biota umano operano nei confronti di altri batteri provenienti dall’esterno (introdotti attraverso il cibo), che permettevano una azione sinergica dei batteri assieme al sistema immunitario: se l’azienda è ben gestita, gli stipendi sono regolari e gli straordinari sono generosi, è mio interesse denunciare il ladro che ruba in cassa, ma se non prendo lo stipendio da due mesi e non so se il mio contratto verrà rinnovato e vedo un estraneo che ruba, quanta voglia avrò di riportare alla direzione il furto?

 

L’interessante review di Polkowska e colleghi (2019) evidenzia in modo chiaro come l’insorgenza di disbiosi conseguenti alla perdita di omeostasi è clinicamente collegata all’incidenza di:

 

  • A) Patologie cardiovascolari;
  • B) Reazioni allergiche;
  • C) Malattie metaboliche;
  • D) Sindromi neurodegenerative;
  • E) Cancro.

 

Ce n’è abbastanza per poter decidere come trattare questi nostri piccoli ma indispensabili lavoratori a progetto.

 

Nel corso dei prossimi articoli approfondiremo l’intricato modo dei rapporti tra le nostre città pluricellulari e il microbiota che vi abita e per esse lavora.

 

 

 

a cura di Simone Masin – M. Sc, PhD, M.ES Università Bicocca di Milano

 

 

 

 

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