La pandemia del coronavirus che in questi ultimi mesi ha colpito non solo il nostro Paese ma il mondo intero ha distolto l’attenzione da un problema di interesse globale che era emerso sin dall’inizio del 2020. Si tratta della gestione delle risorse alimentari in relazione alla popolazione mondiale sempre in vertiginoso aumento (si parla di oltre miliardi di esseri umani) con risorse alimentari in costante diminuzione.
Detto ciò la strada maestra per affrontare questo problema vitale è partire dalla constatazione che la difesa della salute passa attraverso una corretta alimentazione che non si realizza solo con l’attività medicale e sanitaria in genere ma anche e direi soprattutto con la prevenzione.
Quest’ultima, infatti, è di portata ben più ampia potendo e dovendo essere attuata sia dai singoli che da chiunque, in qualsiasi ramo della società, abbia il potere di incidere sugli altri. Si pensi, ad esempio, ai datori di lavoro sia pubblici che privati.
La prevenzione in definitiva è qualcosa di coinvolgente fino ad interessare non solo l’essere umano ma anche il pianeta stesso.
Quest’anno, poi, dovrebbe essere quello giusto, per poter dare una svolta positiva ed incisiva per un efficace approccio volto alla soluzione dei numerosi problemi sul tappeto, tuttora irrisolti.
É necessaria, quindi, una food revolution per salvare noi stessi ed il Pianeta. É questo anche il messaggio conclusivo di un convegno su cibo e alimentazione negli anni futuri dal titolo “Planetary health trough the lens of Lancet”, svoltosi a Milano nei primi giorni del 2020, di cui ha dato notizia il Corriere della Sera dell’11 gennaio scorso alla pagina 21.
A tale incontro, tenutosi presso l’istituto Mario Negri, hanno partecipato il Direttore della autorevole rivista scientifica The Lancet Richard Horton ed il direttore dell’istituto medesimo Giuseppe Remuzzi, che è anche Presidente dell’Italian Istitute for Planetary Health, creato in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano.
È stato, poi, proprio il direttore della rivista The Lancet a sottolineare che l’Italia, in ragione del primato della sua attività di ricerca che vanta un altissimo standing internazionale, deve essere “il laboratorio” ideale per innescare questa nuova modalità e far fronte alla situazione critica, che si è determinata a livello globale, data dall’insufficienza delle risorse alimentari, in relazione all’aumento della popolazione nel mondo ed all’allungamento della vita nei paesi Occidentali.
La strada da seguire, secondo i relatori, per preservare la salute nei popoli nel rispetto del pianeta è quella dello studio con rigore scientifico dei cibi del mondo e la loro modalità di somministrazione, la loro utilità, e gli effetti favorevoli e interazioni con altri alimenti.
Si tratta, come appare evidente, di un progetto molto ambizioso, il quale inquadra la selezione del cibo da consumare e la modalità di alimentarsi in generale fra gli atti di “prevenzione” delle malattie e quindi di difesa della salute, oltre che dei singoli anche dell’intero pianeta.
Ma la parte più rivoluzionaria di esso è data dall’aver conferito e dato riconoscimento alla “non medicalizzazione” dell’alimentazione e quindi, delle diete per le persone sane il che dovrebbe anche permettere e facilitare l’emanazione di una normativa con la quale venga stabilito che quando le indicazioni alimentari (diete) sono riferite a soggetti sani, esse possano essere prescritte non soltanto dai medici ma anche da altre figure professionali che abbiano una competenza in materia riconosciuta dallo Stato.
In buona sostanza una tale “rivoluzionaria”, ma benefica iniziativa, farà chiarezza su questa materia modernizzando un settore ove, oggi, stante l’assenza di specifiche norme “ad hoc”, spesso vengono penalmente perseguiti comportamenti che non possono, a mio parere, qualificarsi “delittuosi”.
È concettualmente fuori dal tempo ritenere che solo il medico abbia la possibilità di prescrivere indicazioni alimentari anche per soggetti sani. Con la nuova emanata normativa chiaramente resterebbe comunque e sempre di competenza esclusiva dei medici la prescrivibilità di diete a soggetti ammalati (ad esempio, obesi) e quella con ruoli minori dei biologi nutrizionisti.
Ai farmacisti non è riconosciuta ed essi possono solo, in base ad un DM del 2009, fornire consulenze nutrizionali in relazione ai prodotti in vendita e sugli integratori alimentari.
È di tutta evidenza che una tale vistosa lacuna legislativa comporta che rientra negli atti sanitari di competenza esclusiva dei medici, anche un atto quale la dieta a soggetti sani che non può affatto qualificarsi tale incidendo su un soggetto non portatore di alcuna patologia.
Un atto del genere, d’altronde, non viene ad incidere “direttamente” sulla salute rientrando esso fra l’attività di prevenzione in generale finalizzata a mantenere una buona salute o a rientrare nel peso forma. Sarebbe quindi, giusto riconoscere la possibilità di praticare la stessa anche a soggetti non medici forniti, però, come si è detto innanzi, di una specifica competenza nel settore, riconosciuta dallo Stato.
Ed i farmacisti oggi esclusi dalla possibilità di effettuare prescrizioni di diete sia a favore di ammalati che di sani, proprio in ragione della loro qualificazione professionale, certamente potrebbero rientrare fra i soggetti abilitati a fornire indicazioni alimentari a soggetti sani.
L’attuale esclusione va rimossa, tenuto conto che oggi nei Paesi occidentali la medicalizzazione delle diete è perdente nella lotta all’obesità ed al sovrappeso.
Basti pensare che nel nostro Paese, come segnala l’Istat, una persona su tre è obesa ed una su dieci è diabetica. In USA la situazione è ancora più grave, tenuto conto che nel solo mese di agosto del 2019 i decessi per obesità sono stati ben 40 mila (Corriere della Sera del 30/9/2019).
Una situazione del genere così allarmante va affrontata con immediatezza attraverso un’efficace e costante attività di prevenzione come potrebbe essere quella di regolamentare la prescrizione delle indicazioni alimentari a persone sane, ogni rinvio nuoce alla difesa della salute dell’intera collettività e del nostro pianeta.
Conclusione
Una nuova normativa all’insegna del cambiamento sarebbe anche in armonia con i principi stabiliti dalla Costituzione.
Volendo tirare le fila di tutto quanto innanzi espresso è opportuno fare delle puntualizzazioni al fine di ulteriormente dare una giustificazione alla necessità di una rivisitazione legislativa dell’intera materia.
Un aiuto molto importante per trovare la soluzione del problema si ritrova proprio nelle norme costituzionali in tema dei diritti dell’individuo sano nella scelta consapevole del proprio regime alimentare, questa scelta fa parte dei “diritti fondamentali ed inviolabili della persona umana”.
Il riferimento è all’Art. 2 che garantisce appunto, il rispetto assoluto ed inderogabile dei suddetti diritti e all’Art. 3 che sancisce il diritto del singolo ad ogni autodeterminazione che riguarda la salute della propria personal ivi compreso anche il rifiuto consapevole delle cure sanitarie anche se da ciò possa conseguire il decesso.
Ebbene se queste sono le regole alle quali attenersi fissate nelle legge fondamentale dello Stato, deve ritenersi del tutto legittima la scelta (anche sbagliata) del soggetto sano che nelle sue piene facoltà mentali e maggiorenne, faccia del proprio regime alimentare ciò che vuole. Nessuno, dico nessuno può interferire.
Di tal che deve ragionevolmente ritenersi che se le indicazioni alimentari in un futuro non lontano (c’è da augurarselo) avverranno, come è auspicabile, ad opera di un soggetto non medico abilitato dallo Stato a farlo, tutto ciò non è confliggente con alcuna norma costituzionale ma al contrario ne fa corretta applicazione.
Fermi questi principi, deve dedursi che il titolare di un centro fitness o di una palestra non commetta alcuna attività illecita allorché consigli agli allievi (soggetti sani) in modo impersonale di seguire quel tipo di alimentazione confacente, suggerita, per mantenersi in buona salute, anche da importanti organismi mondiali (OMS) o europei (UE) con l’attività sportiva o Iudica praticata.
E quindi a tal fine si potrà ben legittimamente consegnare loro un documento cartaceo nel quale vengano riportate le indicazioni alimentari alle quali attenersi. Tutto ciò non può affatto qualificarsi come atto sanitario e come tale riservato ai medici.
Siamo, infatti, in presenza di una manifestazione del pensiero espressa da un organismo internazionale e fatta propria dal titolare del centro divulgata ai frequentatori, i quali, peraltro non sono affatto obbligati ad attenersi ad essa.
L’impellenza di questa riforma è fuori discussione. Da essa potrà trarre giovamento tutta la società.
a cura di Alfonso Marra – Magistrato
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