LE NEWS DI FITNESS INSTRUCTOR

DISMETRIA ARTI INFERIORI E POSTURA

 

La dismetria degli arti inferiori (LLIs) può causare aumento del consumo di energia, andatura anormale o osteoartrite dell’anca. In diversi studi erano stati simulati differenti gradi di LLIs fino a un limite massimo di 15 mm e valutato gli effetti su posizione pelvica e postura.

 

E’ stata rilevata una correlazione tra LLIs e conseguenti variazioni della posizione pelvica, mentre non è stata trovata alcuna significativa variazione della postura vertebrale.

 

In un lavoro di Betsch M del Department of Trauma and Hand Surgery, University Hospital of Düsseldorf, Germania, pubblicato sul European Spine Journal si è voluto verificare l’eventuale modificazione della postura in soggetti sani che sono stati collocati su una piattaforma di simulazione, la cui altezza poteva essere controllata con precisione tramite un dispositivo di misurazione al fine di simulare differenti livelli di dismetria fino a un limite massimo di 20 mm. In caso di LLIs >20 mm, sono stati applicati sotto un piede ulteriori blocchi di legno con taglio di precisione. Le conseguenti variazioni a livello di bacino e colonna vertebrale sono state misurate tramite rasterstereografia.

 

Tale metodica evita i raggi X: vengono posizionati marker cutanei adesivi su punti prestabiliti dalla letteratura sul tronco, colonna, pelvi, arti superiori, posteriormente e poi eseguita una fotografia in stazione eretta statica un sistema raster che funzionando come un altimetro, consente di ricostruire la colonna vertebrale in 3 dimensioni. Lo studio ha mostrato che la LLIs >20 mm comporta delle variazioni significative nella postura vertebrale di soggetti sani. Tuttavia, tali variazioni sono state rilevate significative solo nei parametri vertebrali frontali (rotazione superficiale e flessione laterale).

 

Per quanto riguarda l’angolo cifotico, è stata evidenziata soltanto una tendenza alla diminuzione degli angoli. E’ stato inoltre rilevata una significativa correlazione tra le diverse lunghezze degli arti inferiori e le variazioni della posizione del bacino.

 

[Betsch e coll. Determination of the amount of leg lenght inequality that alters spinal posture in healthy subjects using rasterstereography. Eur Spine J. 2013 Jun;22(6):1354-61.]

 


 

COLESTEROLO: UNA RIVOLUZIONE NELL’ANZIANO?

 

L’utilizzo delle statine in età superiore ai 60 anni è assai diffuso nella popolazione, anche se non vi sono specifici precedenti patologici: il semplice riscontro di un colesterolo elevato in un soggetto di 65-70 anni e ancora di più negli ultraottantenni potrebbe essere un’arma a doppio taglio che genera più problemi di quelli che vorrebbe risolvere.

 

In un lavoro danese pubblicato sullo Scandinavian Journal of Primary Health Care da Bathum e coll.(1) si afferma che nei soggetti con più di 60 anni di età l’aumento del colesterolo LDL porta sorprendentemente ad una riduzione del rischio di morte per qualsiasi causa in modo molto significativo sia nei maschi che nelle femmine, con un rischio quasi dimezzato rispetto a chi invece ha il colesterolo basso.

 

Un lavoro cinese di Lv YB e coll.(2) pubblicato su Atherosclerosis ha addirittura evidenziato che per ogni 30-40 mg/dl in più (sic!) di LDL, cioè di colesterolo cattivo, in soggetti di più di 80 anni si ha una riduzione di morte di tutte le cause di circa il 19%: significa che il colesterolo elevato nella persona anziana, secondo questa ricerca, ha un impatto protettivo favorevole sulle malattie degenerative, su quelle cardiovascolari e addirittura su quelle tumorali.

 

A conferma di ciò, una importante review pubblicata da Ravnskov e coll.(3) sulla famosa rivista British Medical Journal ha confermato in modo rigoroso questi sospetti, stimolando una serie di riflessioni sul ruolo del LDL ed i valori assoluti di colesterolo nella persona anziana.

 

 

Questo studio multicentrico, condotto da ricercatori di tutto il mondo, ha posto addirittura seri dubbi sulla “ipotesi colesterolo” finora ritenuta valida. La loro revisione, applicata a circa 68.094 persone, ha confermato il fatto che dopo i 60 anni la mortalità per tutte le cause, compresa quella per malattie cardiovascolari, non appare significativamente correlata con i livelli di colesterolo e di HDL.

 

Si tratta di una vera rivoluzione concettuale. Da ciò si deduce la necessità di rivalutare l’utilizzo, spesso invasivo, di terapie con le statine o loro derivati.

 

(1)Bathum L e coll. Association of lipoprotein levels with mortality in subjects aged 50 + without previous diabetes or cardiovascular disease: a population-based register study. Scand J Prim Health Care. 2013 Sep;31(3):172-80.

(2)LvYB e coll. Low-density lipoprotein cholesterol was inversely associated with 3-year all-cause mortality among Chinese oldest old: data from the Chinese Longitudinal Healthy Longevity Survey. Atherosclerosis. 2015 Mar;239(1):137-42.

(3)Ravnskov U e coll. Lack of an association or an inverse association between low-density-lipoprotein cholesterol and mortality in the elderly: a systematic review. BMJ 2016 Jun 12;6(6):e010401.

 


 

RESILIENZA ALLO STRESS E DIABETE

 

Uno studio pubblicato sulla rivista Diabetologia da Casey Crump del Dipartimento di Medicina della Stanford University in California, dimostra che una bassa resilienza allo stress nei maschi diciottenni può aumentare fino al 50% il rischio di diabete di tipo II in età adulta.

 

In psicologia, la resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento/periodo traumatico. Lo stress psicosociale in età adulta si associa ad un aumentato rischio di diabete di tipo II probabilmente a causa di fattori comportamentali e fisiologici, ma non era noto se una ridotta tolleranza allo stress nelle fasi giovanili della vita potesse predisporre al successivo sviluppo del diabete di tipo II.

 

Gli autori, tra cui ci sono ricercatori dell’Università di Malmö, in Svezia, per approfondire l’argomento hanno esaminato una coorte di 1.534.425 militari di leva in Svezia, reclutati nel periodo 1969-1997. Durante la visita di leva la capacità di resistere allo stress è stata valutata dagli psicologi con un’intervista della durata di circa mezz’ora, progettata per scoprire l’attitudine a fronteggiare il carico psicologico del servizio militare.

 

Ogni candidato è stato interrogato circa le proprie responsabilità, allo scopo di verificarne la stabilità emotiva e la maturità secondo una scala di resilienza da 1 a 9, dove 9 indica il massimo grado di resistenza ai fattori stressogeni. Un totale di 34.000 uomini hanno successivamente sviluppato il diabete di tipo II e, i ricercatori hanno appurato che una bassa resilienza si associa a un aumentato rischio di sviluppare la malattia anche dopo correzione per indice di massa corporea, familiarità per diabete e fattori socioeconomici individuali e ambientali.

 

Gli autori ipotizzano che i meccanismi attraverso i quali la resilienza può influenzare lo sviluppo del diabete di tipo II siano probabilmente più complessi, coinvolgano con maggiore frequenza comportamenti di vita non sani, nonché fattori ormonali ed immunologici coinvolti nella reazione allo stress capaci di indurre insulino-resistenza. Gli studiosi concludono che le persone più stressate sono anche le più propense a mostrare comportamenti non salutari come il fumo, la scadente alimentazione e la mancanza di attività fisica: proprio questi fattori potrebbero essere tra i principali responsabili dell’aumento del rischio di diabete negli uomini con bassa resistenza allo stress.

 

In realtà, pur a fronte di un lavoro immenso e statisticamente impegnativo, fumo, junk food e sedentarietà sono riconosciuti come fattori di rischio per le malattie cardiovascolari e metaboliche.

 

[Crump C e coll. Stress resilience and subsequent risk of type 2 diabetes in 1.5 million young men. Diabetologia. 2016 Apr;59(4):728-33.]

 


 

SPIRONOLATTONE CONTRO GLI HERPES VIRUS

 

Oggi la terapia contro gli herpes virus, una famiglia responsabile della mononucleosi, dell’herpes simplex e dell’herpes zoster, è limitata di fatto ad una sola classe di farmaci antivirali. Negli anni ‘80 erano stati pubblicati dei lavori sull’effetto antivirale del veleno di un serpente, il bothrops jararaca,(1) poi gli studi sono stati abbandonati.

 

In un lavoro pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences da parte di Verma e coll.,(2) dell’Università dello Utah, i ricercatori hanno scoperto che lo spironolattone, un vecchissimo diuretico abitualmente usato nell’insufficienza cardiaca, ha mostrato una inaspettata capacità di combattere l’infezione da virus di Epstein-Barr, virus che oltre ad essere responsabile della mononucleosi, è associato all’insorgenza di diversi tumori umani.

 

Per molto tempo fu indicato come responsabile del linfoma di Burkitt, ma le indagini non confermarono questa ipotesi, mentre attualmente è associato al linfoma di Hodgkin e al tumore rinofaringeo, presente specialmente nelle popolazioni asiatiche. Il coordinatore dello studio, l’infettivologo Sankar Swaminathan, afferma che le sue proprietà antivirali derivano dalla capacità di bloccare il passaggio fondamentale dell’infezione, comune a tutti gli herpes virus, con un meccanismo diverso da quello degli antivirali esistenti, che inibiscono la capacità virale di replicare il DNA: anche lo spironolattone blocca la replicazione dell’Epstein-Barr virus all’interno delle cellule, ma lo fa prendendo di mira la cosiddetta proteina SM, che è implicata in un altro passaggio del ciclo infettivo.

 

I ricercatori sottolineano inoltre che la capacità del diuretico di bloccare l’infezione virale sembra essere indipendente dalla sua efficacia nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. In altri termini, i risultati dello studio suggeriscono che i due meccanismi sono separabili, volendo dire che la molecola potrebbe funzionare sia come diuretico sia come antivirale senza eccessivi effetti collaterali indesiderati, aprendo così la strada allo sviluppo di una nuova classe di farmaci che intervengono sulle infezioni virali. Inoltre non va dimenticato che, rispetto alle terapie tradizionali, la molecola dello spironolattone ha un costo veramente esiguo.

 

(1)De Candia O e coll. The treatment of herpes zoster with hemocoagulase (Bothrops Jararaca venom). Clin Ter. 1979 Jun 30;89(6):589-93.

(2)Verma D e coll. Spironolactone blocks Epstein-Barr virus production by inhibiting EBV SM protein function. Proc Natl Acad Sci U S A. 2016 Mar 29;113(13):3609-14.]

 


 

OBESITA’ E RISCHIO DI COMPLICANZE E MORTE IN PERSONE AFFETTE DA COVID-19: L’EXPERT MEETING DELL’OMS

 

Il 22 ottobre 2020 l’ufficio regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha convocato una riunione virtuale di esperti e rappresentanti di vari paesi, tra cui l’Italia, per discutere sul ruolo dell’obesità in pazienti con Covid-19. Sono molti, infatti, gli studi che hanno evidenziato che la presenza di obesità, specie nei giovani adulti aumenta il rischio di complicanze e morte in persone affette da Covid-19.

 

L’obesità è oggi sempre più considerata una malattia vera e propria e in quest’ottica si deve lavorare per prevenirla e garantire le cure appropriate quando è necessario. Negli ultimi 40 anni, in molti Paesi, si è osservato un aumento della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità, sia nei bambini che negli adulti. Secondo i dati forniti dall’OMS, il numero di persone obese nel mondo è triplicato a partire dal 1975. Nel 2016 oltre 1,9 miliardi gli adulti (età 18 anni ) erano in sovrappeso e di questi, oltre 650 milioni erano obesi. Per quanto riguarda i più giovani, nel 2019 erano 38 milioni i bambini di età inferiore ai cinque anni in eccesso ponderale e nel 2016 oltre 340 milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra 5 e19 anni erano in sovrappeso o obesi.

 

L’OMS con questo meeting ha proposto di creare una piattaforma dove i paesi membri possano condividere le proprie esperienze e i dati relativi a obesità, malattie non trasmissibili e complicanze in pazienti con Covid-19. Quello che emergerà potrà servire a stilare raccomandazioni specifiche su questi aspetti.

 

Non dobbiamo dimenticare che la pandemia di Covid-19 può peggiorare la situazione specialmente nelle possibili condizioni di Lockdown in cui una limitazione dei movimenti delle persone potrebbe portare ad avere difficoltà di accesso a cibi salutari, a eccedere nelle porzioni, a non riuscire a fare sufficiente attività fisica e ad avere difficoltà ad accedere ai servizi per la cura.

 

In questo contesto, l’ISS, durante la prima fase pandemica ha proposto delle indicazioni e attività per migliorare la salute e il benessere. Si tratta di materiali pratici, pensati per essere di supporto agli operatori e, tramite loro, alle persone e alle famiglie.

 

[Epicentro-Istituto Superiore di Sanità – Viale Regina Elena 299, 00161 Roma. https://www.epicentro.iss.it/obesita/expert-meeting-oms-ott-2020-obesita-covid]

 


 

ATTIVITA’ FISICA NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI

 

Alcuni ricercatori della San Diego State University of California hanno ritento che comprendere i fattori che influenzano l’attività fisica può aiutare la progettazione di interventi più efficaci. In questo studio, pubblicato sulla rivista dell’ACSM, è stata condotta una revisione completa sulle motivazioni all’attività fisica e i risultati sono stati riassunti separatamente per bambini (età 3-12) e adolescenti (età compresa tra 13 e 18 anni).

 

I 108 studi hanno valutato 40 variabili per i bambini e 48 variabili per gli adolescenti. Circa il 60% di tutte le associazioni segnalate con attività fisica erano statisticamente significative.

 

Le variabili che erano costantemente associate all’attività fisica dei bambini erano il sesso (maschio), lo stato di sovrappeso dei genitori, le preferenze di attività fisica, l’intenzione di essere attivi, le barriere percepite, l’attività fisica precedente, la dieta sana, l’accesso al programma/struttura e il tempo trascorso all’aperto.

 

Le variabili che erano costantemente associate all’attività fisica degli adolescenti erano il sesso (maschio), l’etnia (bianca), l’età, la competenza percepita dell’attività, le intenzioni, la depressione, l’attività fisica precedente, gli sport di comunità, la ricerca di sensazioni, la sedentarietà dopo la scuola e nei fine settimana, il sostegno dei genitori, il sostegno degli altri, l’attività fisica dei fratelli, l’aiuto diretto dei genitori e le opportunità di esercizio fisico. Queste variabili dovrebbero essere confermate in altri studi prospettici e migliorati gli interventi volti a migliorare le variabili stesse.

 

Sallis JF, Prochaska JJ, Taylor WC. A review of correlates of physical activity of children and adolescents. Medicine and Science in Sports and Exercise. 2000 May;32(5):963-75.)

 


 

MEDICINA E PREVENZIONE

 

Intervistato in merito il Prof. Silvio Garattini, scienziato conosciuto a livello mondiale e direttore per moltissimi anni dell’Istituto Mario Negri, ha precisato che “prevenzione” è un termine che troppo spesso è dimenticato, pensando che con la medicina si possa sempre rimediare a una malattia. Invece è molto più importante puntare sulla prevenzione delle malattie che non doverle curare: insieme all’educazione può evitare il 50% delle malattie croniche e il 70% dei tumori. È fondamentale agire in modo da minimizzare la possibilità di avere malattie attraverso buoni stili di vita: il costo delle cronicità assorbe il 70% del fondo sanitario nazionale.

 

Certo, oggi in Italia l’età media di vita è di 81 anni per il maschio e 85 anni per la femmina, ma se consideriamo la reale durata della vita sana perdiamo dagli 8 ai 10 anni. Le malattie croniche emergono appunto con scorretti stili di vita. Tra i fattori che influiscono di più sulla qualità di vita c’è il fumo: da una indagine che il Mario Negri ha svolto di recente, c’è poca sensibilità su questo fronte anche da parte dei medici.

 

Solo il 25% dei medici chiede a un paziente se è fumatore. Tra gli altri fattori che contribuiscono a peggiorare le condizioni di salute ci sono alcol, droghe, ma anche l’obesità, il diabete di tipo 2 e il tumore alla mammella. La nutrizione per tutti, dovrebbe essere varia, eliminando gli integratori alimentari inutili – conferma lo scienziato – ponendo attenzione alle calorie introdotte.

 

Strettamente connesso al peso è certamente l’esercizio fisico e, per tutti, ma soprattutto per gli anziani, mantenere vive le relazioni, ma anche rispettare i ritmi del sonno. La cultura riveste una grande importanza perché chi vive in una condizione di povertà socio-economica non conosce quello che può fare bene e cosa può fare male e rischia di non mangiare correttamente. Per questo Garattini ricorda che la situazione attuale richiede un cambiamento culturale: siamo troppo abituati all’idea che se succede qualcosa la possiamo curare con i farmaci. Dovremmo arrivare a far sì che i medici prescrivano buoni stili di vita e controllino che gli stessi vengano rispettati.

 

Garattini rileva inoltre che la cultura universitaria in medicina non è orientata alla prevenzione, ma soltanto alla conoscenza delle patologie e alla terapia. Per questo, spesso, i medici non sono un buon esempio. L’esperto conclude che la cultura del benessere dovrebbe partire dalla scuola primaria.

 

 

 

a cura del Comitato Scientifico ISSA Europe

 

 

 

 

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