La frequenza delle cadute aumenta con il progredire dell’età e oltre i 35 anni di età le cadute rappresentano l’infortunio più frequente in entrambi i sessi. Secondo l’American Geriatrics Society ogni anno il 35-40% della popolazione sana che supera i 65 anni di età cade e al di sopra dei 75 anni le percentuali raggiungono e superano il 50%.
Numerosi fattori influenzano il rischio di caduta. Tra i principali fattori estrinseci (ambientali) troviamo la scarsa luminosità, le calzature non adatte e l’ambiente domestico. Tra i fattori intrinseci riconosciamo invece l’età, il sesso femminile, una ridotta forza muscolare, i disturbi dell’equilibrio, la riduzione delle capacità visive e la terapia poli-farmacologica. Una ridotta stabilità monopodalica rappresenta uno dei fattori di rischio più signifi cativi. Per comprenderne l’importanza basta ricordare che l’80% dei movimenti umani avviene in appoggio su un singolo arto. Dal livello di stabilità monopodalica dipende l’efficacia, la fluidità e la sicurezza dei camminare, correre, salire e scendere le movimenti antigravitari come camminare, correre, salire e scendere le scale.
Nei paesi sviluppati, la ridotta interazione del sistema piede-caviglia con i terreni irregolari induce un progressivo disimpegno del sistema propriocettivo in tutta la popolazione. La regressione propriocettiva rende il soggetto sempre più dipendente dalla vista come stabilizzatore, causando un ulteriore decadimento propriocettivo. Tale situazione è particolarmente accentuata nel soggetto over 65. Uno studio su 597 soggetti (Riva 2013) ha dimostrato che l’aumento dell’intervento visivo tra i 65 e 74 anni è seguito da una rapida compromissione del contributo stabilizzatore della vista nella decade successiva (75-84 aa). La complessità anatomica e funzionale del sistema visivo lo espone infatti agli effetti dell’invecchiamento in misura maggiore rispetto al sistema propriocettivo. Inoltre, le persone anziane sono spesso soggette a deficit visivi da patologie oculari, tra cui cataratta, degenerazione maculare e glaucoma. Infine, si deve tener presente che l’azione stabilizzante del sistema visivo avviene attraverso l’aggancio a punti di ancoraggio presenti nell’ambiente circostante. Tali punti per essere agganciabili devono trovarsi entro cinque metri di distanza dal soggetto. La necessità di mantenere il piano dello sguardo il più stabile possibile per non perdere l’aggancio ai punti di ancoraggio spiega perché la stabilità dipendente dalla vista è limitata e utilizzabile in situazioni di quiete e non disponibile in situazioni di emergenza (come, ad esempio, recuperare l’equilibrio dopo aver inciampato in una irregolarità del terreno). Il ruolo della vista come stabilizzatore posturale rende quindi il soggetto solo apparentemente più stabile, mentre in realtà ne aumenta il rischio di caduta. Il declino della stabilità monopodalica correlato all’età è quindi una conseguenza dovuta soprattutto al disimpegno propriocettivo e al
concomitante iper-utilizzo della vista come stabilizzatore. La carenza di controllo propriocettivo è conseguente ad una inadeguata forza dei muscoli stabilizzatori. Muoversi su superfici irregolari è il modo naturale per attivare le contrazioni riflesse e aumentare la forza di questi muscoli. Una situazione di instabilità posturale e propriocettiva induce quindi la persona a semplifi care i compiti motori che svolge abitualmente, con conseguente limitazione delle esperienze di movimento e ulteriore declino delle capacità motorie (Riva 2008). Il risultato di questa catena di eventi è una regressione funzionale che espone il soggetto anziano ad un aumentato rischio di caduta. Pertanto, il miglioramento della stabilità basata sui riflessi propriocettivi e un minor coinvolgimento della vista (riduzione della dipendenza visiva) sono fondamentali per prevenire le cadute. Quando e come identifi care il rischio di caduta Il rischio di caduta impiega tra i 10 e 20 anni prima di dare inizio alla sequenza di eventi lesivi, rimanendo per molto tempo asintomatico. Dopo i 50 anni il decadimento propriocettivo accelera e una parte della popolazione entra in zona di alto rischio già intorno ai 65 anni di età. Un efficace intervento di prevenzione deve essere attuato il più precocemente possibile. Con l’avanzare dell’età, infatti, lo stesso programma di allenamento richiede un tempo di somministrazione tre volte superiore rispetto a quello necessario per un adulto tra i 50 e i 60 anni. Inoltre, la risposta del soggetto anziano è attenuata in seguito all’aumento dei processi catabolici a scapito di quelli anabolici.
Il grafico (fig. 2) mostra un soggetto donna, che a 68 anni, presentava uno Stability index (SI) pari a 58,4%. Questo marker del controllo propriocettivo, ottenuto eseguendo il Proprioceptive Riva Test (DPPS 7.0 Delos srl Torino), presenta una scala di valori da 0% a 100% in grado di rappresentare qualunque livello di stabilità monopodalica che caratterizza un individuo (dai campioni dello sport con i massimi livelli di stabilità ai soggetti con grave disabilità). La previsione di decadimento era che a 10 anni l’indice scendesse a 43,2% e a 14 anni al 37,4%, quindi in una zona di alto rischio. Dopo 14 anni, periodo nel quale il soggetto ha effettuato almeno un ciclo/ anno di 12 sedute bisettimanali di 45 minuti di riprogrammazione propriocettiva ad alta frequenza (HPT: High-Frequency Proprioceptive Training), il livello di SI è invece aumentato. Ciò ha permesso di evitare non solo il decadimento del controllo propriocettivo con conseguente aumento del rischio di caduta (fi g. 2), ma ha consentito di invertire la tendenza e portare il soggetto in una zona di rischio minore (medio) rispetto a quello che aveva all’inizio del follow-up 14 anni prima (zona di alto rischio).
Bibliografia
Riva D, Ghepardi da salotto, Kemet Editore, 2008, quarta edizione 2021
Riva D, Mamo C, Fanı` M, Saccavino P, Rocca F, Momente´ M, and Fratta M, Single stance stability and proprioceptive control in olderadults living at home: Gender and age differences. J Aging Res 2013: 561695, 2013.