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Consumo energetico: chiave dell’evoluzionismo ed elisir di lunga vita?

Consumo energetico del corpo umano, chiave dell'evoluzionismo ed elisir di lunga vita?

Il consumo energetico del corpo umano (e avere energia da consumare) significa vivere e proliferare. Se si parte da questa legge generale, tutti quei cambiamenti fisiologici e comportamentali che garantiscono una maggiore disponibilità energetica, e un maggiore efficientamento energetico, mantengono un ruolo centrale nel processo evoluzionistico, come a suo tempo sottolineato dallo stesso Darwin nella sua Origine delle Specie del 1859.

 

Antropometria e misurazione del consumo energetico del corpo umano

 

Ci si può aspettare che il consumo energetico, sia a livello intraspecie che interspecie, dipenda dalla massa corporea dell’individuo. Questa assunzione basa il proprio fondamento nel considerare il consumo energetico totale (TEE) come la somma dei singoli consumi cellulari. Fermo restando un valore costante di consumo/cellula nelle diverse specie.

 

La legge di Kleiber

 

Partendo da queste considerazioni un TEE maggiore sarebbe riscontrato all’aumentare della massa secondo una legge lineare.

In realtà, gli studi pioneristici di Kleiber (1947) che hanno analizzato il rapporto tra consumo energetico a riposo (BMR) e massa corporea nelle diverse specie animali hanno dimostrato la non linearità di questa relazione ma un incremento allometrico con la massa 0.75 (legge di Kleiber).

 

Questa legge si è poi dimostrata valida nei primati, uomo incluso, per i quali vale un coefficiente allometrico di 0.73 e una intercetta alle ordinate significativamente più bassa rispetto a mammiferi euteri. In altri termini, i vari mammiferi mantengono una relazione allometrica con la massa. Ma il consumo energetico totale dei primati risulta inferiore rispetto a quello riscontrabile in altri mammiferi di pari massa corporea.

Questo dato assume un ruolo di primaria importanza prima di tutto nel contesto del processo evoluzionistico. Che significato ha un basso valore di TEE rispetto al processo di evoluzione che comprende un aumento importante del volume cerebrale? Inoltre, il dato è fondamentale nel contesto delle considerazioni fisiologiche riguardo la lentezza temporale del processo di accrescimento e invecchiamento dell’uomo nonché la sua scarsa prolificità.

 

La relazione allometrica con la massa sembra mantenersi al livello intraspecie anche nell’uomo. Infatti, individui di minori dimensioni sembrano presentare un maggior consumo basale BMR per unità di massa corporea rispetto ad individui di dimensioni maggiori (Henry 2005).

 

Quanta energia consuma un corpo umano? I fattori che incidono sul consumo energetico

 

È intuibile che altri fattori abbiano un peso fondamentale nel determinismo del consumo energetico totale quali, per esempio, la composizione corporea e il sesso, lo stato ormonale (una per tutti: la funzione tiroidea).

Per esempio, l’organo adiposo risulta essere significativamente meno attivo da un punto di vista metabolico rispetto ad altri tessuti. Non sorprende quindi che gran parte della variazione interindividuale in TEE sia attribuibile alla massa grasso priva (FFM). Considerando la differente distribuzione percentuale della massa grassa nel sesso femminile rispetto al maschile è facile intuire quindi che le femmine presentino un minore consumo per unità di massa corporea rispetto al maschio.

 

Anche l’età del soggetto gioca un ruolo fondamentale. Un inesorabile declino di BMR pari a circa 15 kcal all’anno (Black 1996) è stata osservata a partire dai trent’anni e correla con la perdita di massa magra e con l’età.

 

Nella senescenza, inoltre, un ulteriore decadimento del consumo energetico dipende da una riduzione della quota variabile a sua volta determinata dal livello di attività fisica (AEE activity energy expenditure), notoriamente diminuito nel soggetto anziano rispetto al giovane, e responsabile di circa il 50% del TEE in condizioni di normalità.

 

Il peso dell’attività fisica nel determinismo del consumo energetico si dimostra anche dal fatto che soltanto il 50-75 % della variabilità di TEE nell’ambito della popolazione generale si deve a fattori antropometrici, mentre la restante parte si deve al livello di attività fisica. Il peso del livello di attività fisica sul consumo energetico si desume quindi dal rapporto TEE/BMR (PAL).

 

In atleti professionisti PAL può raggiungere alti valori (circa 5 durante la competizione) mentre in soggetti allettati il rapporto può scendere fino a 1.2-1.3. Per un soggetto moderatamente attivo è possibile rilevare PAL di 1.7-1.8 mentre la quota di AEE si assesta intorno al 34-40% di TEE.

 

TEE ed evoluzionismo

 

Come accennato, il consumo energetico totale dell’uomo e dei primati non umani è inferiore (-50% circa) a quello riscontrato
in altri mammiferi di pari massa. Questa osservazione non è compatibile con un diverso livello di attività fisica essedo la differenza piuttosto significativa. Il livello di attività fisica non sembra impattare in modo sostanziale anche nelle differenze interspecie e intraspecie nei primati. Misure di TEE in primati sottoposti alla cattività non mostrano differenze importanti con i valori misurati in animali allo stato selvatico.

 

L’ipotesi evoluzionistica più accreditata per spiegare la riduzione di TEE nei primati riguarda gli effetti dell’encefalizzazione. Ovvero quelli derivanti dall’aumento del volume del cervello osservato nei primati antropoidi a partire dai primati più ancestrali, caratterizzati da una ridotta massa corporea e un volume cerebrale particolarmente piccolo (Pontzer 2014).

 

Secondo questa ipotesi i primati ancestrali si sono evoluti con una riduzione del consumo energetico e successivamente con un aumento del volume cerebrale e del relativo consumo energetico (con aumento di BMR). Al di là delle ipotesi evoluzionistiche, il ridotto valore di TEE nei primati e nell’uomo riflette appieno il lento processo di accrescimento, di riproduzione e senescenza che li caratterizza rispetto ad altri placentari di egual massa.

 

Questi processi, quindi, dovrebbero essere normalizzati sul tasso di consumo energetico e non sulla massa. Si dimostra così di fatto che non esistono differenze nell’accrescimento, riproduzione e senescenza tra i mammiferi se si procede in questo modo.

 

Un consumo energetico particolarmente basso si ipotizza alla base di meccanismi compensatori volti a impedire ripercussioni fisiologiche importanti in caso di ridotta nutrizione per condizioni difficili di approvvigionamento dei nutrienti.

 

Questa ipotesi si basa anche sull’analisi del metabolismo in placentari come il Bradipo e l’Orangutan per i quali TEE è estremamente basso. Il consumo energetico rappresenta certamente un elemento di primaria importanza per la comprensione del processo evoluzionistico dell’uomo che si concretizza nel rapporto tra disponibilità/apporto e consumo energetico ai fini dell’ottimizzazione rispetto alle condizioni attuali. Molti dubbi rimangono però ancora sul significato di un ridotto TEE rispetto ad altri placentari.

 

Un risvolto certamente importante riguarda comunque il rapporto tra ridotto TEE e lentezza nel processo di invecchiamento. Nonché il significato delle variazioni o fluttuazioni del consumo energetico da attività AEE e longevità.

 

consumo energetico del corpo umano

Variare l’AEE per l’invecchiamento in salute?

 

Da una parte, un ridotto TEE si collega a un lento processo di invecchiamento. Dall’altra, si associa a una riduzione del suo valore assoluto per sostanziale diminuzione del contributo dovuto all’attività fisica (AEE).

 

Il processo di invecchiamento si associa a una perdita progressiva del consumo energetico pari a circa 1-2% per decade a partire dai 20 anni (Elia 2020). Tale riduzione si correla con la perdita di massa magra metabolicamente attiva e questo sembra interessare tutti gli organi che contribuiscono a determinarla.

È probabile che altri meccanismi siano responsabili di questo decadimento considerando il fatto che una certa riduzione di RMR si osserva anche normalizzando i valori per le variazioni della composizione corporea.

 

Il livello di attività fisica mantenuto nel corso della vita è certamente in grado di impattare sul consumo energetico anche in condizioni basali e attraverso il mantenimento della massa magra.

 

Da questo punto di vista gli effetti sembrano dipendere dal sesso dell’individuo. In soggetti di sesso femminile l’attività di endurance di lunga data sembra determinare il mantenimento della costanza dei livelli di BMR a quelli del giovane quando questo valore è aggiustato per la massa magra.

 

Lo stesso sembra non potersi dire per il maschio atleta master per il quale una riduzione dei valori sembra comunque manifestarsi. È interessante notare che queste differenze scompaiono quando atleti maschi giovani ed anziani vengono “matched” per volume di attività fisica e per intake energetico suggerendo il fatto che la variazione di BMR osservata generalmente si possa attribuire a modifiche del volume di attività fisica nell’anziano rispetto al giovane.

 

La riduzione del consumo energetico da attività non è una esclusiva del genere umano. Si riscontra anche nei primati non umani e nei roditori con le opportune differenze intraspecie e interspecie.

 

In linea generale, le variazioni di consumo da attività seguono le variazioni della composizione corporea e, in particolare, della massa magra. Ciò avviene con un assai minore livello di correlazione rispetto a quanto riscontrato per il RMR.

 

Si calcola che la massa magra contribuisca al 10% del consumo per attività sottolineando che le variazioni età correlate si devono a una riduzione del volume e dell’intensità dell’attività fisica svolta dal soggetto.

La componente del consumo che sembra impattare maggiormente su TEE, essendo quindi maggiormente responsabile del declino età correlato, è quella legata allo svolgimento di attività quotidiane non strutturate e in gran parte inconsapevoli (nonexercise activity thermogenesis, NEAT).

 

Perché con l’età si riduce il consumo energetico del corpo umano da attività?

 

Non è del tutto chiaro se l’attitudine umana ed animale nel ridurre il consumo da attività con il processo di invecchiamento abbia basi evoluzionistiche, ma certamente altri fattori tra i quali quelli pscicosociali svolgono un ruolo di primo piano. Da un punto di vista fi siologico, le variazioni del livello di attività fi sica e quindi del consumo AEE possono rappresentare strategie compensatorie alle variazioni negative dalla massa corporea. In altri termini ridurre il consumo di energia cercherebbe di tamponare le perdite di massa magra.

 

Qualunque sia la causa delle variazioni del consumo età correlate, diversi studi hanno indagato il suo impatto sulla longevità umana. Questo impatto è stato misurato indagando per 8 anni il rischio di mortalità in soggetti di età >70 anni. In questo studio RMR e TEE non correlavano con il rischio mentre questa emergeva scorporando AEE da TEE. Un maggior consumo per attività è stato quindi associato ad un minor rischio di mortalità per consumi superiori a 287 kcal al giorno (-32 % di rischio) (Manini 2006).

 

 

Prima l’uovo o la gallina?

 

Sembra emergere con chiarezza che un maggior consumo energetico e quindi una maggiore disponibilità energetica (ATP) da consumare correlino con la longevità nell’uomo. Sorge comunque il dubbio che questi elementi siano utili per il mantenimento della sopravvivenza nel processo di invecchiamento, piuttosto che rappresentare i determinanti di un allungamento della vita.

Da qualsiasi punto di vista la si guardi, mantenere un aumento del consumo energetico, in presenza di un adeguato approvvigionamento, risulta nella possibilità che i sistemi cellulari mantengano efficientemente l’omeostasi, la protidosintesi e la proteostasi, notoriamente energivori.

Non è un caso quindi che un invecchiamento non in salute si associ ad un bilancio protidosintetico negativo e ad un aumento del catabolismo proteico.

 

La perdita del consumo energetico e della disponibilità di energia impatta negativamente su questi processi. Inoltre determina la perdita di massa magra e una alterazione dei processi di proteostasi con accumulo di proteine danneggiate e ossidate. Sostanze che sono da eliminare ma difficilmente eliminabili in mancanza di energia adeguata e che contribuiscono al processo di invecchiamento.

 

L’esercizio fisico forza il consumo e stimola la funzione mitocondriale mantenendone efficienza. Il livello di iperconsumo energetico per ottenere effetti benefici sul processo di invecchiamento, impattando significativamente sulla mortalità, sembra essere particolarmente esiguo e probabilmente ascrivibile a una condizione di maggior livello di attività fisica persa nel tempo dell’evoluzione sociale dell’uomo moderno rispetto ai suoi ancerstors.

 

 

 

 

 

Giuseppe D’Antona, CRIAMS Sport Medicine Centre Voghera, University of Pavia

 

 

 

Bibliografia

 

Enry CJ. 2005. Basal metabolic rate studies in humans:measurement and development of new equations.
Public Health Nutr. 8:1133–52

 

 

Black AE, Coward WA, Cole TJ, Prentice AM. 1996. Human energy expenditure in affluent societies: an analysis of 574 doubly-labelled water measurements. Eur. J. Clin. Nutr. 50:72–92

 

Pontzer H, Wrangham RW. 2004. Climbing and the daily energy cost of locomotion in wild chimpanzees: implications for hominoid locomotor evolution. J. Hum. Evol. 46:315–33

 

 

Elia M, Ritz P, et al. Total energy expenditure in the elderly. Eur J Clin Nutr 54 Suppl 2000;3:S92–103.

 

 

Manini TM, Everhart JE, et al. Daily activity energy expenditure and mortality among older adults. Jama
2006;296:171–9. [PubMed: 16835422]

 

 

 

 

 

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