Il colesterolo fa parte, assieme agli acidi grassi liberi ed esterificati (trigliceridi) e ai fosfolipidi, dei lipidi circolanti nel sangue. Un eccesso di queste sostanze (iperlipidemia) e un’affezione assai comune, sia come patologia primitiva che come patologia secondaria, dovuta cioè alla presenza di altre malattie (es. diabete mellito, distiroidismo).
Fattori genetici ed acquisiti (errate abitudini alimentari, sedentarietà) contribuiscono alla elevata prevalenza di queste alterazioni. Molecole assai poco idrosolubili, i grassi circolano nel sangue legati a proteine (idrosolubili), le apolipoproteine, con la formazione delle lipoproteine, sistema costituito da numerose frazioni e regolato da processi metabolici complessi. Il fegato è l’organo centrale nel metabolismo dei lipidi: veicolati dalle lipoproteine, ad esso giungono i grassi introdotti con la dieta e assorbiti nell’intestino.
E tra il fegato ed i tessuti periferici vi è un continuo viavai di molecole in perenne rimaneggiamento, che provvedono al rifornimento dei lipidi necessari ai tessuti periferici e alla rimozione e dalla periferia, con ritorno al fegato, di quelli inutilizzati. Benché il colesterolo si trovi in quantità diverse in numerose lipoproteine, l’interesse clinico si concentra sulle frazioni a bassa densità. (LDL:low-density lipoproteins) e ad alta densità (HDL: High-density lipoproteins).
Il colesterolo circolante è solo in parte di origine alimentare: circa il 60 per cento e, infatti, di origine endogena, grazie ad un processo biosintetico attivo principalmente nel fegato e nei surreni, nel quale la tappa fondamentale è regolata dall’enzima HMGCoA reduttasi.
L’apporto alimentare nelle popolazioni occidentali varia da 600 a 1200 mg al giorno e l’assorbimento e nell’ordine di 300-400 mg al giorno, con un rapporto colesterolo introdotto/colesterolo assorbito, approssimativamente del 50 per cento per un apporto fino a 500 mg e del 30-35 per cento per introiti superiori.
Nell’organismo il colesterolo ha funzioni importanti: entra a far parte, come elemento strutturale, delle membrane e lipoproteine plasmatiche; costituisce il materiale di partenza per la sintesi degli acidi biliari e degli ormoni steroidei. Nonostante sia, dunque, un costituente essenziale dell’organismo, è ormai accertato che il colesterolo è implicato nello sviluppo e nella progressione della lesione fondamentale dell’aterosclerosi: la placca atero-sclerotica.
L’aterosclerosi, con le sue conseguenze a carico di tutti i principali organi (infarto miocardico, ictus, insufficienza renale, etc) è la principale causa di morte nei paesi occidentali. Già nei primi anni del secolo, il russo Anitschow dimostrò sperimentalmente lo sviluppo di lesioni aterosclerotiche in conigli nutriti con diete ad alto contenuto di colesterolo. Da allora, numerosi studi sperimentali hanno confermato questo dato e si è visto che una dieta ad alto contenuto di colesterolo è l’unico modo di provocare l’aterosclerosi negli animali da esperimento. Più recentemente, il ruolo dell’ipercolesterolemia e stato documentato da numerosissimi studi epidemiologici, che hanno evidenziato una stretta correlazione fra livelli di colesterolemia e mortalità cardiovascolare. Analizzando dati di popolazioni diverse, si è visto come la mortalità per cardiopatia ischemica aumenti parallelamente ai valori medi di colesterolemia; ad esempio, la mortalità cardiovascolare in Italia (media, 220 mg/dl), è circa un terzo di quella finlandese (270 mg/dl).
Il rischio di cardiopatia ischemica (infarto, angina pectoris) è oltre 3 volte maggiore in soggetti con colesterolemia di 240 (fino a non molti anni fa ritenuta nella norma), rispetto a soggetti con colesterolemia di 200.Ma il rischio cardiovascolare non è collegato solo ai valori di colesterolemia totale: si è visto, infatti, che esso aumenta all’aumentare dei livelli di colesterolo LDL, mentre valori relativamente elevati di colesterolo HDL sono associati ad un rischio diminuito. Inoltre, il legame fra rischio cardiovascolare e colesterolemia e ben documentato nei soggetti relativamente giovani, mentre non vi sono dati sicuri riguardo i soggetti sopra i 65 anni.
Attualmente si ritiene che il limite superiore della colesterolemia desiderabile sia di 200 mg/dl per il colesterolo totale e di 155 mg/dl per il colesterolo LDL (135 in presenza di altri fattori di rischio). Disponiamo oggi di farmaci molto efficaci per ridurre la colesterolemia, quali ad esempio gli inibitori dell’HMGCoA reduttasi. Bisogna tuttavia sottolineare come vi siano ancora alcune perplessità sul reale beneficio a lungo termine di tali terapie. Sicuramente fondamentale è, d’altra parte, il trattamento non farmacologico, che può ottenere riduzioni della colesterolemia nell’ordine del 30-40 per cento, riducendo nel contempo i valori di trigliceridemia, fattore di rischio indipendente e altrettanto diffuso.
Un adeguato regime dietetico è il cardine della terapia ipocolesterolemizzante. Vi sono diverse modificazioni della dieta che possono concorrere alla riduzione del rischio cardiovascolare: tutte, oltre a ridurre direttamente o indirettamente la colesterolemia, tendono a favorire un riassetto globale del profilo lipidico, con modificazioni qualitative o quantitative delle varie frazioni lipoproteiche, riduzione del colesterolo totale e LDL, ed aumento dell’HDL.
L’intervento dietetico consiste essenzialmente nella sostituzione dei cibi di origine animale (ricchi in colesterolo e acidi grassi saturi) con cibi di origine vegetale.
I punti fondamentali sono:
- Controllo del sovrappeso corporeo mediante riduzione dell’apporto calorico totale.
- Riduzione degli acidi grassi saturi nella dieta a meno del 10 per cento delle calorie totali. Presenti prevalentemente nei cibi di origine animale, nelle margarine e in alcuni prodotti vegetali come l’olio di palma e di cocco, hanno un sicuro effetto ipercolesterolemizzante.
- Aumento del consumo di acidi grassi poli-insaturi, presenti negli olii di mais, girasoli e soia e in alcuni pesci, soprattutto merluzzo e sgombro, fino al 10 per cento delle calorie totali.
- Aumento degli acidi grassi monoinsaturi (olio di oliva), fino al 10-15 per cento delle calorie totali.
- Sostituzione dei carboidrati semplici con quelli complessi (amidi, fibre).
- Riduzione dell’apporto di colesterolo a meno di 200-300 mg al giorno.
Anche l’attività fisica e efficace nel controllo dell’ipercolesterolemia. Ancora una volta, le evidenze degli studi sperimentali sono molto indicative: studiando l’effetto del condizionamento fisico (treadmill) Kramsch (1981) ha dimostrato, tra l’altro, che nei soggetti allenati si avevano livelli di colesterolo HDL più elevati e lesioni arteriose meno estese di quelli non allenati, che inoltre mostravano alterazioni elettrocardiografiche significative e andavano soggetti a morte improvvisa.
Vi e ampia dimostrazione che l’attività fisica induce una riduzione del colesterolo totale e LDL, un aumento del colesterolo HDL e una riduzione dei trigliceridi, modificazioni tutte in senso positivo del quadro lipoproteico. Non è tuttavia accertato quanto tali modificazioni siano dovute all’attività fisica stessa e quanto invece risentano dell’effetto favorevole di uno stile di vita più attivo.
Per avere effetti positivi, comunque, l’attività fisica deve essere regolare e costante, e ad un livello minimo che è stato stimato (per indurre incrementi apprezzabili di colesterolo HDL) equivalente a 10 miglia di corsa alla settimana. Va ancora sottolineato un punto di fondamentale importanza: l’aterosclerosi, così diffusa e dannosa, è un processo lento (inizia nell’adolescenza) e progressivo, risultato in gran parte di uno stile di vita antifisiologico, tanto da essere virtualmente assente negli animali e nelle popolazioni umane primitive.
Tale processo può essere prevenuto (prevenzione primaria), rallentato e parzialmente fatto regredire (prevenzione secondaria), correggendo i fattori che ne favoriscono lo sviluppo. L’ipercolesterolemia e uno di questi fattori di rischio che interagiscono influenzandosi l’un l’altro. Attualmente si consiglia la misurazione della colesterolemia almeno ogni 5 anni in tutti i soggetti adulti: livelli superiori a 200 mg/dl richiedono ulteriori accertamenti (colesterolo LDL, profilo lipoproteico), adeguati presidi terapeutici farmacologici e non farmacologici, ma soprattutto una attenta valutazione dell’intero profilo di rischio.
L’efficacia della correzione di un solo fattore di rischio è infatti modesta, se non si controllano anche gli altri (obesità, ipertensione, sedentarietà, diabete mellito, ipertrigliceridemia, fumo).