Forza, ipertrofia, resistenza muscolare e cardiovascolare, flessibilità, mobilità, composizione corporea, finanche la prestazione atletica e la postura, costituiscono le moderne prospettive di lavoro e interesse degli operatori del settore che considerano il ripristinare, mantenere o ottimizzare le condizioni psicofisiche dei propri clienti come base per ottenere il raggiungimento di qualsivoglia scopo. Ciò ha comportato, rispetto al passato, una sicura modificazione nell’approccio valutativo, della programmazione e misurazione dei risultati perseguiti e, soprattutto, della modulazione del piano di intervento che è andato ben oltre le modalità di allenamento e alimentazione, entrando nell’organizzazione dello stile di vita.
Illuminanti, in questa direzione, gli insegnamenti di una scienza conosciuta come PNEI (psico, neuro, endocrino, immunomodulazione), specializzazione della medicina interna, secondo la quale tutte le strutture di cui l’uomo si compone si integrano secondo un principio di armonia definito come “omeostasi”, dal greco ομέο-στάσις, che letteralmente si traduce come “stessa fissità”. Tutti i sistemi che compongono “l’unità uomo” sono legati da meccanismi di autoregolazione che tendono a creare una naturale stabilità. Così le variazioni imposte dell’alternarsi del giorno e della notte (ritmicità circadiana) e le reazioni richieste da improvvisi cambiamenti delle condizioni sia interne che esterne (fight or flight, affronta o fuggi) conducono tutte ad una fase di cambiamento-adattamento che si conclude con la definizione un nuovo equilibrio. A nostro avviso questo approccio globale è una chiave di lettura generale e, allo stesso tempo, specifica di ogni singolo sistema.
Tempo fa, nelle mai scontate e sempre interessanti domeniche “Manzottiane” della Convention ISSA, ascoltammo con entusiasmo una relazione che poneva al centro di un percorso posturale efficace una visione d’assieme conosciuta con il nome di Biotensegrità. Il corpo umano,al fine di esprimere un movimento efficiente, ha come prerogativa di base la massima resa, il maggior confort e il minimo dispendio energetico. Per soddisfare tale richiesta, risulta di cruciale importanza l’integrazione dei sistemi tra loro, cioè è essenziale che lavorino in sincronia, senza compensi o dispersione di forze ed energie. Tale sinergismo pone il suo essere in un concetto estremamente complesso e architettonico conosciuto come Tensegrità, intesa come la capacità di un sistema di stabilizzarsi attraverso l’interazioni di forze che tendono ad equilibrarsi tra loro.
A coniare questo termine fu Richard Buckminster-Fuller, (Architetto) nel 1955 (1) e successivamente il Dr. Stephen Levin riportò tali applicazioni nella biologia introducendo quella che fu definita la Biotensegrità. Le strutture biologiche come muscoli, ossa, fascia, legamenti e tendini, nonché le altre strutture rigide ed elastiche, divengono forti dalla reciproca tensione che si offrono a vicenda. In questo concetto Il sistema muscolo-scheletrico è una sinergia di muscoli e ossa. I muscoli e tessuti connettivi forniscono trazione continua e le ossa presentano una compressione discontinua(2)..
Nelle dinamiche posturali, riconoscere tale principio di unità espressa da una rete embricata di natura neurologica e fasciale, consente di evidenziare aspetti che, positivamente o negativamente, dimostrano il concetto di Funzionalità Sistemica: se uno solo dei sottosistemi che organizzano il corpo nello spazio diviene disfunzionale, l’intero insieme svilupperà compensi che avranno ripercussioni più o meno importanti e che, con il tempo, manifesteranno i loro effetti collaterali.
Quale sia il risultato finale non è scontato, il dolore potrebbe essere una delle manifestazioni evidenti ma, in un’ottica più globale, le cose potrebbero andare diversamente. Alterazioni della composizione corporea, delle vie metaboliche, dell’assetto ormonale, addirittura dell’aspetto psicologico, lasciano, spesso, tanto ignari e perplessi che la frase “lei è troppo stressato/a” non manca mai! Invece basterebbe una visione più ampia rispetto alla singola manifestazione e, successivamente, un piano di intervento più integrato. Per essere ancor più chiari, facciamo qualche esempio pratico. Analizziamo un’ipotesi di mal di schiena successivo ad una distorsione di caviglia.
Sappiamo che il trauma, oltre che a creare danni o modificazioni strutturali localizzate, produce un flusso propiocettivo alterato. Il Sistema Nervoso Centrale, con le informazioni ricevute, elabora una nuova condizione posturale fornendo nuovi schemi di movimento o tenuta. In pratica si producono quei meccanismi di compenso attraverso i quali si ovvia alla mancanza di funzionalità- stabilità di caviglia, trasferendo e distribuendo le forze in gioco sulle altre strutture e articolazioni collegate. Nella dinamica del passo, come più volte dimostrato in letteratura scientifica(3), questa nuova organizzazione comporta un’iper-attivazione degli erettori spinali che, nel tempo, si manifesta con problematiche di affaticamento o dolore alla bassa schiena.
In questo caso l’azione localizzata (schiena) potrebbe non solo non produrre effetti ma, addirittura, lasciare il tempo che si attuino ancora altri compensi che escono fuori dall’ambito meramente posturale e finiscono per coinvolgere altri sistemi. Intuibile, per un discorso metamerico e di innervazione, un’evoluzione verso il comparto viscerale che, a sua volta, può diventare un problema di tipo metabolico e, quindi, di composizione corporea…siamo partiti da una distorsione di caviglia… Una corretta valutazione dovrebbe riportare il circolo vizioso verso il suo punto di origine ma, nel frattempo, troppi sistemi si sono alterati e l’intervento di ripristino non può essere che globale!
E’ vero, i traumi sono tra i più importanti “disturbatori” del corretto flusso di informazioni tra Sistema Nervoso e periferia e generano cambiamenti improvvisi ed immediati, ma gli stessi effetti possono essere prodotti da stimoli disfunzionali protetti con continuità e nel tempo. Si pensi, ad esempio, ai danni procurati da posture sbagliate, quale l’essere seduti per tante ore al giorno. Il primo squilibrio che si può collegare è quello che deriva dalla mancanza di attivazione della muscolatura stabilizzatoria deputata alla tenuta delle anche e del bacino.
L’appoggio su di una struttura salda e ben distribuita sul pavimento, qual’è la sedia, si sostituisce alla funzione di solidità e stabilità cui sono deputati i muscoli della pelvi, quando siamo in piedi. Addirittura si può arrivare ad una completa “amnesia” (come definita in letteratura) della muscolatura dei glutei, vale a dire un ritardo se non una completa assenza di attivazione dei glutei nell’estensione dell’anca e nella loro funzione stabilizzatoria su tutto l’arto inferiore. Ciò, con i stessi processi descritti in precedenza, può portare a manifestazioni dolorose e sindromi non localizzate, traslare su altri comparti quali ad esempio le ginocchia attraverso uno stress di tipo rotuleo (4,5,6).
La stabilizzazione passiva sopraindicata, può altresì alterare la funzionalità dei muscoli profondi del tronco, quelli deputati a controllare attivamente i carichi in gioco sulla colonna vertebrale (trasverso, obliqui, muscoli spinali). Inoltre se l’atteggiamento è quello del “sedersi su se stessi” tutto quanto riportato finora si associa a un deterioramento della meccanica respiratoria per limitazione funzionale del muscolo diaframma toracico. Un diaframma bloccato, procura danni dal punto di vista posturale, metabolico, psicologico e alimenta il circuito della instabilità del tronco in quanto la sua fisiologica contrazione gioca un ruolo cruciale nell’IAP (Intra Abdominal Pressure, starter di tutti i meccanismi di stabilizzazione)(7). Ancora una volta possiamo trovarci di fronte a dolore riportato come aspecifico della bassa schiena, la difficoltà di tenuta lombo pelvica e l’alterata funzionalità del diaframma creano una forte componente di instabilità vertebrale che si traduce in sofferenza lombare(8,9), ma è altresì possibile che si verifichino stati d’ansia, stanchezza, astenia, peristalsi intestinale, ecc.
Di fatto numerosi studi riportano, in tutte le ipotesi suddette, l’efficacia del naturale e fisiologico meccanismo di respirazione diaframmatica(10), costituendo la base per costruire interventi più articolati e, ancora una volta, multi-fattoriali. Un’analisi del 2012 pubblicata sul Public Library of Science dal titolo “A Meta-Analysis of Core Stability Exercise versus General Exercise for Chronic Low Back Pain”, ha dimostrato come l’allenamento del “core”, quindi una sollecitazione funzionale del corsetto addominale (trasverso, obliqui, muscoli spinali, stabilizzatori della pelvi), sia risultata superiore nel trattamento dei dolori alla bassa schiena rispetto agli esercizi tradizionali(11). Se l’argomento è la solidità del tronco, sempre nell’ottica di descrivere la nostra innata e fisiologica unità sistemica, evidenziamo il concetto di “Stiffness”. La “Stiffness” è la capacità di rendere il tronco una struttura simile ad un cilindro solido, attitudine grazie alla quale è possibile aumentare e rendere più efficace la forza negli arti inferiori(12) e in quelli superiori(13). Tale positivo effetto lo si può ricavare anche da tutti quegli studi che hanno dimostrato la stretta relazione tra la disfunzione del cingolo scapolo omerale e stabilità del tronco. In sostanza, essi hanno verificato che una deficienza di tenuta della muscolatura profonda crea alterazione di funzionalità nelle spalle (14).
Si dice, con una frase generale ma calzante, “stabilità prossimale per manifestare mobilità distale”, vale a dire che la compattezza della parte centrale del corpo libera le capacità di movimento delle braccia e delle gambe. Quasi inutile sottolineare come questa sia l’ennesima evidenza dell’integrità sistemica del corpo umano. Insomma, come la PNEI e la fisiologia ci insegnano, ogni azione nel corpo umano non è isolata o isolabile ma fa parte sempre di un disegno più complesso e articolato. In tal senso, il concetto di integrazione rappresenta l’unica chiave di lettura e, successivamente, strategia di intervento qualsiasi siano le problematiche da affrontare o gli obbiettivi da raggiungere.
Se poi volete una nostra personale posizione, provato che un adeguato Training Funzionale è fondamentale per prevenire e conservare la piena funzionalità sistemica nei gesti del quotidiano e nella vita sportiva(15), come piano di azione noi pratichiamo e proponiamo sempre il movimento, quello fatto con qualità e non quantità, un “movimento fatto bene”. Perché è certo che muoversi bene, per reazione di sistema, significherà poi allenarsi bene e, quindi, essere motivati a mangiare bene perché spinti da un più generale sentirsi bene.
Ci vediamo in Convention!