“Oggi puo’ capitare molto spesso di osservare in palestra una giovanissima ragazza dal peso inconsistente, ostinarsi senza sosta, a camminare su di un tapis roulant. Capita di vederla poi subito dopo sfinirsi in una lezione di gruppo rigorosamente “fat burning”. Ciò che la spinge è la paura di ingrassare.”
Le scorciatoie molte volte ricadono nel diuretico nascosto nella bottiglietta d’acqua o in qualche “pozione detox”. In sala lo sguardo è sempre rivolto allo specchio alla ricerca di un’immagine compiacente, irreale distorta, insana.
La forma distorta prosegue in ragazzi più o meno maturi ipnotizzati dallo specchio mentre sollevano (spesso a caso) il più alto carico possibile oppure organizzati con amici in acquisti su internet di sedicenti integratori “che ti fanno diventare grosso” per poi postare senza tregua sui social network i pseudo trofei ottenuti a suon di pose e magliette alzate.
Infine, ragazzi e ragazze in grave sovrappeso che si sentono alieni in palestra e vorrebbero solo sentirsi invisibili. Pedalano faticosamente sulle bike, a volte dentro k-way o avvolti nella pellicola trasparente sotto la tuta con il mero e unico risultato di sudare di più, rischiando di andare incontro a frustrazioni oltre che a pesanti disidratazioni.
Non credo ci sia Personal Trainer che almeno una volta non si sia imbattuto in scene come queste. Premesso che sappiamo tutti che il campo nella maggior parte dei casi è di pertinenza medica, è anche vero che queste persone frequentano e vivono la palestra, perciò, più ne sappiamo e più saremo in grado di gestire la situazione o d’essere d’aiuto.
In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione soffre di DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare): il 95% sono donne, il restante numero appartiene agli uomini. I DCA rappresentano la prima causa di morte tra i ragazzi/e tra i 13 e i 25 anni.
La domanda che ci dobbiamo porre, in nome del fitness di qualità, in cui tutti noi crediamo, è : “possiamo essere d’aiuto alle persone con DCA?”
Un grave sintomo quasi sempre presente è l’alterazione della propria immagine corporea, ovvero la sua percezione irrealistica che influenza pericolosamente gli stati d’animo ed i comportamenti quotidiani. Sulla base dei criteri diagnostici sopra tratteggiati si rileva come ciò che accomuna tali disturbi alimentari è la presenza di un’eccessiva valutazione e controllo della forma e del peso del proprio corpo.
Il costante pensiero fisso su cibo e corpo diventa presto un’ossessione che invade la vita quotidiana della persona, privandola degli interessi, delle attività, delle emozioni piacevoli che provava prima dell’insorgere del disturbo.
La componente psicologica è altissima e noi PT non possiamo improvvisarci quello che non siamo, scadendo anche nel consiglio ansiogeno: “dovresti fare, devi mangiare, ecc”.
Non possiamo neppure farci carico, per eccesso di empatia, di problemi che potrebbero turbare la nostra serenità lavorativa.
Noi possiamo solo fare il nostro lavoro: ASCOLTARE, INFORMARE, ALLENARE, per promuovere e realizzare il cambiamento che la persone desiderano.
Avere un DCA significa vivere con una ossessione : IL CIBO.
Pensarlo in ogni momento della giornata, sceglierlo secondo rigorosi dictat affinché sia “pulito”, “dietetico”, ipocalorico, con lo 0.00% di zuccheri aggiunti, privo di grassi idrogenati, oli vari bio, sodio e glutine free, sia PRIVO DI … !
All’opposto avremo altri dictat o parole d’ordine come: pompare, crescere, anabolizzare, iperproteico sempre e comunque, no carbo, amminoacidi a caso, proteine pre e post, cibi standardizzati come gli “evergreen” del fitness.
Per chi soffre di DCA le parole d’ ordine sono rassicuranti perché chiudono tutto in una realtà falsata, che rappresenta solo una proiezione mentale. Si basano al 90% sul sentito dire, sulle mode dei cibi stagionali o peggio su convinzioni sedimentate in anni di cattiva informazione!
L’allenamento, che noi PT sappiamo essere la chiave della salute e della prevenzione, fonte di benessere psicofisico, è strumentalizzato da chi soffre di questa patologia. Nell’anelare a queste immagini vuote ci si sfinisce con l’esercizio smodato mettendo a repentaglio la salute dell’organismo con mix di dubbia composizione.
Risultato: farsi del male.
Come ci sono parole d’ordine, di chiusura, per fortuna ci sono parole CHIAVE di apertura, che fanno chiarezza, danno corretta informazione e conferiscono il giusto riconoscimento ai nostri studi. Essere d’aiuto ci porterà a guadare terreni paludosi ma se saremo artefici di un cambiamento nei nostri clienti, sicuramente avverrà un cambiamento anche in noi stessi.
Dobbiamo sposare anima, fisiologia, anatomia, biomeccanica e tecniche di comunicazione alla ricerca delle parole chiave che possano aprire la nostra sensibilità verso chi vive un profondo disagio con il proprio corpo e il mondo esterno.
Noi PT abbiamo una bellissima responsabilità quella di trattare il CORPO in tutta la sua straordinaria UMANITA’.
Chiara De Nigris
CFT1 ISSA Europe