Epigenetica. Quando il genotipo non è tutto

“Iniziamo ad affrontare uno degli argomenti più intriganti e complessi: la cosiddetta Epigenetica.”

 

Nell’articolo di oggi inizieremo ad affrontare uno degli argomenti più intriganti e complessi della ricerca biomedica e evolutiva odierna, al centro di numerosi filoni di indagine: la cosiddetta epigenetica.

 

Nella prima metà del ventesimo secolo esistevano due branche della biologia, separate e distinte:

 

la biologia dello sviluppo e la genetica. Ciascuna di queste due discipline faceva riferimento ad uno dei capisaldi della teoria dell’evoluzione, la biologia dello sviluppo, infatti, si concentrava sulla ontogenesi, il processo che porta una cellula-uovo fecondata umana (o di qualsiasi altro organismo pluricellulare) a svilupparsi e differenziarsi fino a diventare un uomo adulto, piuttosto che un delfino, o una farfalla oppure una pianta di sedano.

 

La genetica invece partiva dalla cosiddetta filogenesi, l’indagine dei meccanismi di mutazione del DNA e trasmissione genetica dei caratteri da una generazione alla successiva che ha permesso alla vita sul Pianeta, a partire da un singolo antenato ancestrale, di produrre l’infinita diversità e complessità che ci mostra oggi, dalla pianta di sedano alla farfalla, al delfino e all’uomo.

Ontogenesi e filogenesi erano due concetti diversi, insomma, connessi ma distinti, il primo
riguarda la storia dell’individuo, il secondo la storia della specie.

 

Ma cosa ci differenzia da un’altra specie? Cosa fa la differenza tra noi e un delfino? Uno dei principi alla base della produzione delle proteine è appunto questo: il DNA di una specie contiene le istruzioni per costruire e assemblare le proteine tipiche di quella specie.

 

Il DNA codifica per le proteine, le proteine vengono assemblate tra loro a costruire strutture più complesse, che a loro volta costituiscono tutte le componenti della cellula, più cellule si uniscono a formare tessuti, questi ultimi si organizzano in organi e gli organi costruiscono sistemi e apparati, dal livello organizzativo minimo al massimo.  epigenetica_pag.37
Attraverso la sintesi proteica dunque, le proteine costituiscono gli individui. Il DNA di un delfino conterrà quindi le istruzioni per costruire proteine “di delfino”, che si assembleranno nei vari livelli organizzativi (cellule, tessuti, organi, apparati) fino a dare il simpatico mammifero marino, ugualmente, il DNA umano conterrà le istruzioni per costruire proteine “umane”.

 

Naturalmente, gran parte delle proteine di queste due specie, entrambi mammiferi, saranno simili, più simili tra loro di quanto non lo siano le proteine che compongono, ad esempio, un essere umano
e una mosca. Così come i pezzi che compongono un Boeing-747 e quelli di un Concorde saranno più simili tra loro di quanto non lo siano entrambi rispetto ai pezzi necessari a costruire un elicottero. Tanto più vicine sono due specie dal punto divista evolutivo, tanto più simili saranno le loro “istruzioni”.

 

Il principio alla base dell’evoluzione è quello che ciascuno di noi nasce con un asset di geni, metà dei quali ereditati dalla madre e l’altra metà dal padre, che durante i processi di sintesi proteica del DNA costruiscono proteine: tali proteine sono determinate dai geni ereditati e in qualche modo “immutabili”.
Se io eredito la variante genica che predispone all’anemia mediterranea, ad esempio, i geni che sovrintendono alla costruzione della proteina emoglobina, ne costruiranno una variante “sbagliata”, meno funzionale rispetto all’emoglobina prodotta da un individuo che non ha ereditato quella mutazione.

Il mio cosiddetto GENOTIPO determina il mio FENOTIPO, in modo univoco: a ciascun genotipo corrisponde uno ed un solo fenotipo.

 

Su questo principio vengono effettuati al giorno d’oggi, gli screening genetici per determinare la probabilità di incidenza di malattie come neoplasie, infarto, patologie degenerative.
Ma dagli anni ‘70, qualcosa non tornava in questo puzzle.

 

Gli embriologi, ad esempio, non avevano risposte in merito ad uno dei più grandi misteri che si verificano all’inizio di ogni vita pluricellulare: se l’ovulo fecondato, detto zigote, possiede UN SOLO DNA, e comincia a dividersi generando decine e decine di cellule identiche, IN CHE MODO in tutti gli embrioni, ad un certo punto, inizia il differenziamento cellulare?

Che meccanismo conduce un migliaio di cellule embrionali identiche tra loro a trasformarsi in cellule epiteliali, cellule nervose, adipociti, osteoblasti? In che modo un grumo di cellule tutte identiche si organizza a formare zampe, ali, occhi, pinne e cervelli?

 

Era nata la disciplina dell’epigenetica. L’epigenetica studia tutte le MODIFICAZIONI DEL FENOTIPO CHE DERIVANO DA UNO STESSO GENOTIPO. In altri termini, le stesse istruzioni che ci consentono di montare una proteina, possono essere alterate, corrette, ignorate o ripetute, per creare una vasta gamma di proteine, ciascuna un po’ diversa dalle altre. Questa è stata la grande intuizione alla base della epigenetica, che va ad aggiungere un altro affascinante tassello alla teoria dell’evoluzione darwiniana, senza però metterla minimamente in crisi, come vorrebbero alcuni creazionisti.

 

Per capire COME funziona l’epigenesi delle proteine, vi farò un esempio…culinario:

 

Immaginiamo che una proteina sia come una torta, in cui gli ingredienti, latte, zucchero, uova, farina, frutta, panna, sono naturalmente i singoli amminoacidi. La ricetta per cucinare quella specifica torta, sarà scritta in un grande libro di ricette, che è il DNA. Supponiamo ora che vogliate preparare una magnifica torta Saint-Honoré per un ospite: diciamo che la ricetta per questa torta occupi le pagine del vostro libro di cucina che vanno dalla numero 10 alla 15. Le prime pagine vi spiegheranno come preparare un soffice Pan di Spagna, le successive come preparare i bignè e la crema, le ultime come assemblare gli ingredienti.

 

Se seguite pedissequamente le istruzioni, otterrete SEMPRE LA STESSA TORTA. Ma che succede se avete un ospite intollerante alle uova? Potreste ad esempio saltare, diciamo, la pagina 14, che vi spiega come preparare la crema per i bignè, lasciandoli vuoti. Oppure saltare i paragrafi di pagina 15 che vi dicono epigenetica_pag.38come inserire i bignè nella vostra torta, preparando una Saint-Honoré SENZA i bignè. Alla fine, a fronte dello STESSO GENOTIPO, avreste ottenuto TRE DIVERSI FENOTIPI, una torta classica, una torta con bignè vuoti, una torta senza bignè. Così funziona l’epigenetica.

 

Durante la sintesi proteica, le sequenze geniche possono essere soggette a una serie di fenomeni che le rendono non leggibili, oppure possono essere inattivate momentaneamente, o ignorate. Il risultato? Decine di varianti proteiche che consentono agli esseri viventi di adattarsi all’ambiente in modo plastico e veloce.

 

Ora vi starete chiedendo cosa c’entri l’epigenetica con il fitness e la longevità: moltissimo, a dire il vero. Forse non ci avete mai pensato in questi termini, ma l’epigenetica è la risposta alla nota formuletta, un po’ consolatoria, che si sente sempre nei telegiornali, ogni volta che si parla della scoperta di qualche gene predisponente a qualche terribile malattia…

 

“Naturalmente questo gene sembra favorisca lo sviluppo di questa malattia, anche se le condizioni ambientali giocano un ruolo rilevante…”

 

Perché le condizioni ambientali non sono altro che quel vostro amico intollerante alle uova, che vi ha spinto a cucinare una torta senza bignè, oppure con bignè senza crema, tornando all’esempio di cui sopra.

 

Esistono decine di ricerche sulle principali malattie metaboliche che mettono in relazione meccanismi di epigenesi con l’insorgenza di insulinoresistenza in pazienti giovani, in bambini sedentari, addirittura studi che correlano l’insorgenza di patologie nei figli di genitori sottoposti a diverse condizioni ambientali: alcuni studi eleganti sono quelli di Pembrey e colleghi (Pembrey et al. 2006. Sex-Specific, male-line transgenerational responses in humans), che hanno messo in relazione la longevità effettiva di un campione di soggetti di sesso maschile con la condizione nutrizionale o con fattori di rischio associati ai loro padri: ad esempio, padri fumatori sembrano produrre figli maschi con una predisposizione ad un elevato BMI già a 9 anni di età, in modo analogo, genitori e nonni paterni esposti a carestie e riduzione calorica, come quelle derivanti dalle condizioni sperimentate dalle popolazioni europee durante i due conflitti mondiali, sembra che producessero figli e nipoti molto più resistenti alle patologie cardiovascolari e al diabete, anche se sottoposti a regimi alimentari abbondanti, come quelli degli ultimi decenni del secolo scorso.

 

Si suppone che questa ereditarietà epigenetica sia collegata all’inattivazione di alcune sequenze geniche nei gameti maschili, che vengono messe in atto nella generazione dei padri, a seguito di eventi stressanti come la carestia. Durante una carenza di cibo cronica e duratura, l’organismo risponde migliorando la sua risposta glicemica attraverso una modificazione a feedback dei geni preposti alla gestione del carico glicemico: non si tratta di mutazioni, naturalmente, solo di meccanismi che fanno sì che alcuni geni importanti siano letti e trascritti in modo diverso, più utile.

 

Possiamo immaginare il nostro libro di ricette, con alcuni paragrafi “sbianchettati” oppure evidenziati, per far sì che la torta che verrà cucinata sia SEMPRE quella che soddisfa il gusto dell’ospite che viene a cena da noi più spesso.

 

E siccome le condizioni che i padri hanno sperimentato durante il loro ciclo vitale è probabile che sussistano anche durante la vita dei figli, ecco che gli organismi si premuniscono e fanno sì che anche le cellule sessuali, le uniche che passeranno da una generazione alla successiva, portino con sé i geni sottoposti al trattamento che li ha resi più funzionali.

 

Tutto questo ci dice che gli organismi viventi sono in grado di modulare le loro risposte fisiologiche in modo sorprendente e passare queste informazioni addirittura da una generazione alla successiva.

Al tempo stesso questo dovrebbe insegnarci qualcosa di fondamentale sull’esigenza di adottare stili di vita e abitudini alimentari corrette, a prescindere dai nostri geni e dalle nostre predisposizioni genetiche per l’una o per l’altra patologia.

 

Facciamolo per i nostri figli, se non per noi stessi. Proseguiremo nella nostra esplorazione dello strano universo dell’epigenetica nei prossimi numeri.

 

Simone Masin, M.Sc, PhD.,M.ES.,
Università Bicocca di Milano

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