L’obiettivo dell’allenamento per l’ipertrofia è aumentare la massa muscolare e/o di lavorare sui punti carenti per creare giuste proporzioni tra i vari gruppi muscolari.
La durata di questa fase varia secondo gli obiettivi, l’anzianità d’allenamento, il livello, ma soprattutto il risultato ottenuto fino a quel momento. Per massimizzare l’allenamento è possibile eseguire due o più cicli concernenti l’aumento massa, sempre però variando l’intensità e utilizzando fasi “leggere”, “medie” o “pesanti”.
Se l’allenamento pesante è mantenuto per molto tempo o i recuperi sono insufficienti, vi potrebbe essere diminuzione delle performance dovuto a sovrallenamento o aumentato rischio articolare.
Dire qual è il sistema migliore è in sostanza impossibile vista la soggettività. Non si tratta di scegliere l’allenamento in base al nome ma capire se le scienze esatte, la composizione corporea e il nostro cliente sono compatibili con quel metodo e non viceversa. Importante è la periodizzazione dell’allenamento e il controllo dello stesso attraverso test specifici. I criteri di scelta vanno ricercati nel principio delle differenze individuali, in altre parole dal fatto che, essendo tutti geneticamente diversi, non rispondiamo allo stesso modo allo stimolo dato dall’allenamento.
Solo il contatto continuo con il cliente (ascoltando e capendo le sue sensazioni, le capacità di recupero, le risposte) e un feedback efficace ci potrà fare scegliere un metodo piuttosto che un altro o variare in base alla risposta. Valgono perciò i principi generali sulla programmazione adattandoli soggettivamente. Vi sono poi molti pareri personali più che “metodi” riconosciuti. I pareri sono frutto del “secondo me”, i metodi applicazioni standardizzate.
I “padroni del metodo” sono limitati e dotati di scarse capacità. Un buon PT conosce le scienze esatte e le applica. Non per nulla il motto ISSA “Non esiste l’esercizio o il metodo ideale, esiste il cliente!” è diventato un “MUST” per i Personal Trainer evoluti.
Qual è il miglior metodo? Quello che funziona e che si sposa al cliente! Solo testando saremo in grado di capire se l’allenamento e l’alimentazione funzionano oppure no. Possiamo usare un test di forza, un metro, un plicometro, un’analisi bioimpedenziometrica. Test specifici rispetto all’obiettivo. E solo i test successivi ci diranno se ha funzionato oppure no. Ai Personal Trainer meno evoluti resterà il copia e incolla classico di chi non vuol pensare né ragionare con la propria testa. L’allenamento per l’ipertrofia ha lo scopo di provocare cambi biochimici all’interno del muscolo necessari per lo sviluppo della massa muscolare.
Sfortunatamente per molta gente l’aumento del volume muscolare è limitato alla durata dell’allenamento o poco più e spesso è dovuto a un ristagno di fluidi all’interno dei muscoli (ipertrofia sarcoplasmatica). In altre parole, “l’aumento muscolare” è dovuto a uno spostamento dei fluidi corporei all’interno delle cellule sotto sforzo invece che a un reale aumento del volume delle fibre. Occorre lavorare all’interno del range stabilito, esempio 8-12 ripetizioni; se maggiore peso troppo leggero, se inferiore, eccessivo. Il carico iniziale, nel principiante, dovrebbe rispettare la tabella dove, secondo che si abbia scelto movimenti pluriarticolari piuttosto che monoarticolari, che sia uomo o donna, secondo il peso corporeo e alla scelta tra macchine e pesi liberi.
L’ipertrofia muscolare rappresenta l’incremento di volume delle fibre contrattili che porta all’aumento della massa muscolare che, grazie ai sovraccarichi, tempo di tensione e recupero tra le serie, crea delle lesioni muscolari che, se genetica, riposo, ormoni e alimentazione sono stati combinati nel modo giusto, porteranno il muscolo a incrementare il suo diametro. L’ipertrofia muscolare coinvolge tutte le strutture subcellulari ma agisce in particolare sulle strutture contrattili.
Il carico produce microlesioni nel tessuto e in particolare nella fase eccentrica del movimento. L’organismo “in fisiologia” risponde ricostruendo il tessuto danneggiato depositando maggiori quantità di materiale proteico attraverso la produzione di nuove miofibrille di diametro maggiore e la produzione di nuovi sarcomeri. Le cellule muscolari a questo punto incrementano i depositi di Creatinfosfato CP, Adenosintrifosfato ATP e Glicogeno attraverso modificazioni che portano notevoli vantaggi nell’esecuzione di sforzi brevi ma intensi, tipici dell’attività anaerobica. Un buon lavoro rivolto all’ipertrofia passa attraverso una tensione meccanica, data dal carico utilizzato e dal tempo di tensione utile a risposte cellulari e molecolari nelle miofibrille e nelle cellule satelliti. Il carico e il tempo di tensione devono essere adeguati. W. Kraemer ha definito questo metodo come “impegno ripetuto submassimale” utile alla degradazione delle proteine. Questo grazie a due fattori: stimolo meccanico e tempo di tensione (TT). Il tempo di tensione “ideale” (durata del SET) dovrebbe essere tra 30”-40” e 70”. Se il carico è troppo alto, il tempo di tensione (esecuzione di un set) sarà troppo breve (inferiore ai 30” di tensione continua). Se il carico è troppo basso, il tempo di tensione sarà troppo lungo (superiore ai 70” indicativi). Kraemer consiglia l’utilizzo di carichi compresi tra 6-8 e 10-12 con tempo d’esecuzione di ogni ripetizione tra 5” e 6” (metodo dell’impegno ripetuto submassimale) con recuperi incompleti ma che non limitino il set successivo.
Il grado di tensione meccanica (quantità di carico) e del tempo di tensione TT (durata del carico applicato) creerà una corretta combinazione di queste variabili (carico e durata) che massimizzeranno il reclutamento delle unità motorie. A queste due variabili va aggiunto lo stress metabolico ottenuto attraverso la produzione di acido lattico.
L’allenamento anaerobico lattacido, provoca una produzione di acido lattico che va ad abbassare momentaneamente il pH al quale è associato un aumento del GH. L’adeguato ed elevato stimolo meccanico con stress in allungamento (eccentrica) deve portare alla produzione di ”fattore di crescita miogeno” locale a livello dei muscoli sollecitati con riparazione dei microtraumi da parte delle cellule satelliti (ipertrofia). L’insorgenza del danno muscolare crea una reazione infiammatoria che porta alla produzione di miochine responsabili del rilascio di fattori di crescita che regolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule satelliti. Secondo diversi studiosi, l’aumento della sezione trasversa della fibra avviene dopo 10-14 settimane di allenamento continuo.
L’allenamento iniziale porterà a un aumento di forza quasi esclusivamente per adattamento neurologico (Bosco, Kraemer e altri).
Avvengono inoltre delle micro lesioni sulla membrana che stimolano dei processi ormonali tramite i quali occorre la sintesi proteica. Altro fattore importante è la deplezione di glicogeno che in fase di recupero è reintegrato con una supercompensazione a livello di ritenzione dello stesso. ll processo che porta all’ ipertrofia muscolare è multifattoriale.
Si è visto, infatti che la deplezione dei fosfati favorisce la proliferazione di poliribosomi, sedi di sintesi proteica, che l’alta concentrazione di acido lattico produce delle microlesioni a livello della membrana cellulare che portano alla crescita attraverso ricostruzione e che i movimenti lenti, particolarmente nella fase eccentrica stimolino il rilascio di fattori di crescita insulino-simili IGF1 e IGF2 che sono i principali responsabili dello sviluppo di cellule embrionali da quelle satelliti.
La sequenza; tensione / danno / stress / recupero / alimentazione, sono i fattori che condizionano lo sviluppo muscolare. La variazione del pH nel citoplasma e nell’ambiente extracellulare è associata a molte condizioni fisiologiche come, ad esempio, l’esercizio intenso. Questo cambiamento influisce sulla sintesi proteica, controllate anche dal mTORC1. Un’elevata attività mTORC1 è stata osservata a valori fisiologici di pH 7.2 – 7.4. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. In chimica, acidità significa proprietà di una sostanza di mandare in soluzione ioni d’idrogeno H+, (idrogenioni) e si misura con il pH (potenziale Hidrogenium).
Il pH è la misura di acidità di un liquido, i cui valori vanno da 0 a 14. Da zero a 6.9 si ha una condizione acida, sette è neutra, oltre abbiamo una condizione alcalina. I fluidi entrano ed escono da una cellula con una carica elettrica perché i nutrienti sono convertiti in elettricità, senza la quale il cervello non potrebbe comunicare con gli altri organi. La carica elettrica è favorita da alcuni nutrienti minerali.
Se questi sono assenti nei liquidi, il corpo li prende dalle riserve, impoverendo anche la massa ossea.
Il sangue umano ha pH, a livello arterioso, compreso tra 7,38 e 7,42. Il sangue non è perfettamente neutro ma leggermente alcalino, poiché il suo pH è di poco superiore al sette. I processi metabolici che avvengono all’interno del corpo portano a continue variazioni del pH in un susseguirsi di apporto-eliminazione di “acidi” e “basi” che determinano modifiche nella concentrazione dello ione idrogeno (H+) con conseguente variazione del pH dell’organismo che deve far fronte a queste variazioni e mantenere il pH fisiologico (pH 7.38-7.42).
Se l’ambiente in cui vivono le cellule diventa molto acido, tale acidità penetrerà all’interno delle cellule, alterando il pH del nucleo e creando i presupposti per quei fenomeni che sono comunemente chiamati “malattie da degenerazione cellulare”.
Come detto in precedenza, l’ambiente extracellulare (fluidi corporei) svolge l’importante compito di mantenere il pH rigorosamente entro i limiti fisiologici. Minime variazioni di H+ intra ed extracellulari hanno la capacità di modificare la carica caratteristica delle proteine con conseguenti modificazioni della struttura e della funzione. Lo stretto controllo nel mantenimento della H+ costante nei fluidi extracellulari è il risultato di una sinergia di meccanismi regolatori in cui sono coinvolti i sistemi di controllo propri nel sistema ematico e regolazione a livello renale, intestinale e polmonare. Bassi livelli di pH possono influenzare negativamente la sintesi proteica. A livello cellulare, nell’ipertrofia muscolare, le proteine contrattili aumentano di dimensioni e di numero.
Avviene anche un aumento nel liquido (sarcoplasma), e il tessuto connettivo non contrattile si diffonde all’interno del muscolo creando ipertrofia sarcoplasmatica non funzionale e non sarcomerica funzionale.
L’ipertrofia muscolare è un processo multidimensionale, con numerosi fattori coinvolti.
Si tratta di una complessa risposta di segnali cellulari tra le cellule satelliti, il sistema immunitario, i fattori di crescita e gli ormoni, con le singole fibre muscolari di ciascun muscolo. Proteine segnale chiamate citochine, provenienti dal sistema immunitario, interagiscono con i recettori specializzati sui muscoli per promuovere la crescita del tessuto. Alcuni ormoni anabolici (che promuovono la crescita muscolare), includono l’IGF1, il testosterone e l’ormone della crescita (GH) che giocano un ruolo primario nel promuovere l’ipertrofia. Ci sono molteplici meccanismi che sono responsabili dello stimolo della crescita muscolare e, probabilmente, ognuno di questi meccanismi può essere stimolato mediante metodi di allenamento diversi.
Questi meccanismi sono: aumento della tensione muscolare o sollecitazioni meccaniche sul tessuto muscolare, deplezione di substrati energetici intramuscolari (fosfati, glicogeno) dovuta alle esigenze metaboliche; sollecitazioni meccaniche e metaboliche che portano a danni strutturali (micro-traumi), segnalazioni dallo stress meccanico sulle fibre muscolari, risposta ormonale (testosterone, GH, MGF, IGF-1, cortisolo), e risposta infiammatoria; sintesi proteica che porta all’ipertrofia muscolare.
Durante le prime settimane d’allenamento vi è un miglioramento in termine di forza non corrispondente all’aumento della sezione trasversa del muscolo.
Cambia la qualità dei filamenti di miosina ma non vi sono quantità sufficienti di proteine nelle cellule per creare aumenti in misura delle fibre muscolari stesse. Entro 8-12 settimane d’allenamento aumenta anche il volume in ragione del fatto che le proteine che compongono le miofibrille cominciano a unirsi alle fibre muscolari. I miglioramenti avvenuti nelle prime settimane d’allenamento sulla forza in persone non allenate sono quantificati fino al 40%.
Una persona non allenata migliorerà a prescindere dall’allenamento proposto, almeno all’inizio ma, se non vi è periodizzazione, questi miglioramenti cesseranno in breve. L’obiettivo di un allenamento sulla forza all’interno di un macrociclo è di creare ipertrofia della sezione trasversa del muscolo e condizionare al reclutamento del numero massimo possibile di fibre muscolari oltre che aumentare la sintesi proteica (grande ruolo dell’alimentazione).
Molte volte, miglioramenti anche del 50% sono solo imputabili a una maggior coordinazione neuromuscolare (s’impara il gesto). Il risultato deve essere, ad ogni modo, sempre misurabile.
O attraverso il carico massimale (1RM) o, ancora, vedendo cosa avviene in termine di cambio della composizione corporea o con l’antroplicometria o la stima della Massa Cellulare (BCM – Body Cellular Mass –ECW Acqua Extracellulare) Questo ci dirà se l’allenamento proposto produce reali miglioramenti, se ci stiamo sotto allenando o se rischiamo il sovrallenamento potendo così intervenire immediatamente anche con cambi d’alimentazione e integrazioni mirate e non approssimative. Pseudo miglioramenti o peggioramenti non saranno empirici ma provati e documentati.
Questa fase prevede l’aumento dell’attivazione delle unità motorie e della capacità di sincronizzazione e coordinazione dei gruppi muscolari. Più aumenterà la capacità coordinativa e di sincronismo tra i muscoli più le fibre veloci (FT) diventeranno efficienti. Aumenteranno sia il diametro degli elementi contrattili del muscolo sia i livelli di testosterone in modo naturale. Il guadagno sarà più sulla forza che sull’ipertrofia e questo permetterà nei mesocicli successivi di utilizzare più carico. Aumenti di volume saranno possibili quasi esclusivamente per le persone che si avvicinano per la prima volta a questo sistema. Vi sono però alcuni soggetti che, nonostante tutti gli sforzi, non riescono a migliorare in termine di ipertrofia muscolare.
Il soggetto “non-responder“ ha scarsa risposta allo stimolo riguardo al protocollo di allenamento utilizzato nello studio scientifico di riferimento ma non significa che non risponda a stimoli diversi, semplicemente, non allo stimolo proposto. Sono solitamente soggetti stressati, magri e in ritenzione, dal sonno disturbato e con alimentazione inadeguata. I fattori di crescita nei soggetti “responder” associati all’ipertrofia aumentano in misura maggiore nella fase post allenamento in quanto facilitati nella riparazione muscolare attraverso mionuclei “predisposti geneticamente” oltre che avere una risposta migliore all’infiammazione post allenamento. Nei soggetti “non responder” vi è invece una risposta infiammatoria amplificata nel post allenamento. I segnali pro-infiammatori post allenamento incrementano in tutti i soggetti in modo naturale, ma non nella stessa misura.
Soggetti con difficoltà di crescita muscolare hanno marker pro-infiammatori maggiori sia a fine allenamento sia nel tempo, come CPK (creatinfosfochinasi) – LDH (lattato deidrogenasi), AST – ALT (transaminasi). L’allenamento muscolare, tipico del bodybuilding, determina un danno muscolo-scheletrico che fa elevare anche AST e ALT (enzima presente nei muscoli).
Il danno muscolare eccessivo inibisce l’ipertrofia facendo si che i muscoli riescono a riparare (lentamente) ma non a crescere. Ci vogliono molte settimane perché avvengano una serie di adattamenti che portano a una parziale protezione dei muscoli dai danni (repeated bout effect), senza aumentare volume e intensità dopo di che i muscoli cominceranno a rispondere meglio allo stimolo. DOMS e Repeated Bout Effect (RBE) (effetto della ripetizione a un carico), rappresentano la capacità del muscolo di adattarsi agli stimoli meccanici rappresentati dalla contrazione muscolare soprattutto in eccentrica, riducendo la risposta dei DOMS.
RBE indica che ripetendo una sessione di allenamento con i pesi, la risposta del DOMS, e quindi dell’indolenzimento percepito, è più attenuata rispetto alla prima.
L’allenamento concentrico al contrario non è in grado di causare un simile livello di RBE.
Più si è alla ricerca dello stimolo allenante senza averne ancora le capacità e più si è predisposti a overtraining con relativa alterazione del profilo endocrino (riduzione ormoni anabolici) e aumento della produzione di catecolamine (insonnia). Altri effetti dell’overtraining riguardano modifi che psicologiche (frustrazione), alterazioni ematologiche (ferro), massa muscolare scarsa, equilibrio idrico e elettroliti alterati, (infiammazione).
Si riduce inoltre la concentrazione plasmatica di ormoni ipofisari (–GH), variazioni di aminoacidi con effetti sulla sintesi della serotonina (nervosismo) e aumento degli infortuni. Vi è, poi, una soppressione immunitaria, aumento di malattie e alterazioni dell’appetito. Il sovrallenamento a carico del sistema nervoso simpatico è indotto soprattutto da allenamenti ad alta intensità come sollevamento pesi, bodybuilding, ecc. I “sintomi” sono soprattutto riguardo a scarsa capacità di recupero, stanchezza al mattino, lieve miglioramento in tarda mattinata, stanchezza accentuata e sonnolenza post pranzo, eccitabilità nel tardo pomeriggio e insonnia notturna.
Il sovrallenamento induce modifiche (negative) nella biochimica, nella fisiologia e nella produzione ormonali che si riflettono nel peggioramento della performance e dell’umore. La glutammina serica diminuisce nell’overtraning così come il dosaggio delle IgA salivari (marker dello stato immunitario alterato), la velocità di sedimentazione, il tasso delle gammaglobuline, il contenuto di CK e di magnesio. Ormoni come testosterone, GH, FSH ed LH diminuiscono così come l’attività neuromuscolare, motivo per cui quando siamo sovrallenati ci sentiamo stanchi, vuoti e con scarsa libido.
Un errore piuttosto frequente in questi casi, è consigliare stimolanti a base di caffeina, tipici dei preworkout nel tentativo di aumentare l’energia. In questo caso la caffeina spinge le ghiandole surrenali a produrre un picco di cortisolo e a rilasciare noradrenalina.
Questo depaupera ulteriormente l’organismo di importanti “ormoni della risposta allo stress” compromettendo la situazione nel tempo.
a cura di Claudio Suardi – MFS Direttore Tecnico ISSA Europe
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Autore: Claudio Suardi
Tags: allenamento, aminoacidi, cellule muscolari, fisiologia, ipertrofia, ipertrofia muscolare, ipertrofia sarcoplasmatica, massa muscolare, personal trainer, peso corporeo, rischio articolare, serotonina, sviluppo muscolare