ARS medica: il lungo cammino

Per molte persone i due termini, malattia e malessere, significano, a grandi linee, la medesima condizione o circostanza: lo star male, o meglio, il sentire uno stato di indisposizione, conseguente da una patia. Da qui la necessità di recuperare l’equilibrio, il benessere, la salute: per questo ci voleva un’arte che definisse un percorso specifico dedicato alla cura della persona affinché la vita stessa riprendesse valore. Marziale affermava: non est vivere sed valere vita est. In sostanza, che vita è se si vive male.

 

E sul concetto di vivere male, e quindi di essere malati, giocava Marcel Proust quando diceva: “quell’agente patogeno mille volte più virulento di tutti i microbi, l’idea di esser malati”. Insomma da sempre la ricerca della salute: dapprima definita come assenza di malattia e oggi, più modernamente, mantenimento del benessere.

 

claudio galeno

Claudio Galeno definiva la medicina come ars medica e dichiarava: “lo scopo dell’arte medica è la salute, il fine è ottenerla”; Celso aggiungeva nel suo aforisma: ars medica tota in observationibus, introducendo il concetto dello studio dei fenomeni. Virchow, molti secoli dopo, asseriva che la medicina è un’arte e una professione che lottano cessantemente per distruggere la ragione della propria esistenza: prevenire, curare le malattie ed eliminare il bisogno del medico. In questo modo è un’arte che viene esercitata mentre la si sta scoprendo: è una scienza che aspetta sempre di essere ulteriormente imparata e coltivata. A differenza di alcune scienze, il cui fine è istituzionalmente noetico, la medicina sembra avere finalità eminentemente pratiche e generalmente viene considerata un’arte fortemente connotata dalla perizia del medico, il quale attinge nozioni dall’emporio del sapere scientifico e abilità pragmatiche dal bagaglio delle tecnologie, raggiungendo i propri obiettivi con una corretta applicazione della scienza.

 

Thomas Sydenham, sulle cui orme si costituì la grande scuola medica inglese, asseriva: “non riconosco alla medicina che un’unica esigenza e non ne formulo che una sola: che guarisca”. Si configurava inoltre la contrapposizione tra scienza razionale e scienza empirica. Alla concezione della malattia come squilibrio funzionale (scompensi meccanici e chimici, alterazioni dei liquidi e lesioni dei solidi, sconcerto nella composizione delle minute macchine, impedimenti ai moti interni delle particelle, ecc.) si rispondeva con una nosologia in cui il morbo era studiato nelle sue particolarità e accidentalità.

 

In altre parole, alla terapeutica della medicina razionale derivata nel senso della consequenzialità logica dalla teoria biologica, la medicina empirica oppone una terapeutica basata su descrizioni precise, per catalogazione e raggruppamento dei sintomi, su puntuali cronache del decorso del morbo, a seconda della somministrazione di rimedi specifici, sulla costituzione di quadri clinici sempre meglio definiti.All’esperimento viene opposta la semplice esperienza, in quanto la natura va osservata così come si presenta e non costretta entro gli angusti limiti della sperimentazione.

 

Skrabanek e Mac Cormick affermano che in certo qual senso scienza e medicina sono agli antipodi, la scienza cerca una risposta sperimentale a quesiti generali, la medicina cerca una risposta specifica al problema specifico del paziente. Lo scienziato amplia le basi delle conoscenze comuni, il medico accumula esperienza personale. Mentre lo scienziato non fa che cercare problemi nuovi e smette di interessarsene quando sono stati risolti, il medico che ha trovato una soluzione è ben contento di specializzarsi proprio nell’applicazione di quella soluzione. Portata nel cuore della nostra epoca la disputa se la medicina sia un’arte, empirica, oppure una scienza, razionale, comporta ed implica conseguenze sulle quali è imprescindibile una serie di riflessioni.

 

Se da una parte è indubbio che la medicina debba avere una connotazione rigorosamente scientifica, basata su conoscenze confrontate e confrontabili, rigorosa nei criteri di verifica, il più possibile aderente al concetto di efficienza ed efficacia e, non ultimo, nell’ottica della corretta gestione delle risorse economiche, oggi si sente maggiormente il bisogno di una medicina meno invasiva, tanto diagnostica che terapeutica, con un maggiore rispetto per l’uomo, da parte del medico e delle istituzioni, e una maggiore attenzione all’ambiente e allo stato di salute dell’ambiente stesso.

 

La centralità del malato come attenzione massima del sistema, la specificità di ogni singolo caso, la personale attitudine del medico, in quanto uomo, a definire con rigore ma anche con flessibilità interventi utili ad un altro uomo, fa sì che nasca pertanto il bisogno di rivendicare alla medicina quel ruolo di arte capace di ricomporre un’armonia incrinata dal male, come le era stato riconosciuto dalla cultura rinascimentale e che è propria di tutte le culture che alla medicina hanno affiancato una rigorosa indagine filosofica sull’uomo.

 

La malattia non appare più come una mera affezione interessante una parte del corpo umano, ma come la manifestazione di una condizione disarmonica generale di cui l’affezione è la manifestazione patologica più evidente.Parimenti il paziente sfugge al rischio di essere visto come organo malato e lo si propone al medico nella sua interezza di individuo.

 

Come ha ben evidenziato Foucault, la storia della medicina occidentale è metaforicamente “la storia dello sguardo del medico che si posa sul malato”: a seconda di come egli lo guarda, il malato si riduce a corpo della malattia, organo separato su cui operare, o si impone come essere che soffre e a cui va ridata l’armonia.E’ questo ultimo lo sguardo di un medico che non esercita la medicina delle malattie, ma pratica la medicina dell’uomo.

 

Operativamente, allo stato attuale la medicina si è data un percorso preciso per poter attendere alla propria finalità: la raccolta anamnestica, cioè l’acquisizione di tutte le notizie riguardanti la vita del malato, la diagnosi, cioè la definizione di malattia, che si ottiene attraverso metodologie sempre più raffinate, la prognosi, cioè il giudizio sullo stato futuro o sull’andamento e l’esito della malattia stessa, e la terapia, cioè tutti gli interventi necessari a guarire. Ogni momento di questo iter ha avuto nel corso del tempo una continua evoluzione scientifica e necessarie codifiche che rendessero omogenee le procedure, ma che specialmente permettessero lo scambio di informazioni tra i professionisti della salute allo scopo di raggiungere il più alto equilibrio tra efficienza ed efficacia.Il drammatico ridursi delle risorse economiche ha fatto sì che si rendessero necessari ulteriori aggiustamenti e indicazioni di tipo comportamentale: di queste ultime fanno parte le linee-guida.

 

Ma come nacque la medicina? Si è creduto che la malattia sia comparsa sulla terra con l’uomo primitivo, ma eretto: gli studi hanno dimostrato che questa idea non era vera, ma che la malattia esisteva già molto prima che il nostro antenato antropoide avesse raggiunto l’aspetto dell’homo sapiens; si pensa che vi siano segni per dimostrare (alcuni autori portano questo limite a 100 milioni di anni fa) che le malattie costituivano già una delle amarezze dei primi abitatori della Terra. Malattia quindi come un qualcosa di “diverso dalla normalità”, o come veniva percepita. A questa qualcuno doveva pur applicarsi e quindi il nebuloso concetto di malattia, di diagnosi e di terapia si è evoluto con la formazione di individui che si interessavano a questi problemi.

 

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Coloro che si interessano di paleo-patologia ritengono che in un primo stadio l’uomo primitivo, ancora incapace di osservazione e ragionamento, guidato dall’istinto, sentì il bisogno di alleviare in qualche modo i disturbi causati dalle malattie. Si può pensare che si rinfrescasse con l’acqua quando fosse stato colpito dalla febbre, si liberasse dalle spine, lavasse o pulisse le ferite, si fermasse a riposare sino a ritrovare le forze. A questa prima rudimentale espressione di medicina gli storici hanno dato il nome di medicina istintiva. In un secondo stadio, attraverso trasformazioni che si allungano in migliaia di anni, si modifica nell’essere umano l’intelligenza, intendendosi con questo una migliore capacità di giudicare e valutare i fenomeni della natura e gli eventi che si incontravano. È ovvio che non riuscendo ancora a dare una spiegazione ai fenomeni stessi, questi vengono interpretati come segni di un qualcosa di soprannaturale, da cui il rivolgersi alla divinità. La malattia è un’espressione contraria alla vita quotidiana, è un evento avverso probabilmente espressione di una divinità non più amica. Si pensa perciò che in questo periodo nacque l’idea degli dei e dei demoni. A questo secondo stadio è stato dato il nome di medicina magica, demonistica, sacerdotale.

 

Lentamente la capacità di osservare e di ragionare di colui che, come dicevamo prima, si interessa della fenomenologia dolorosa della malattia ed è al tempo stesso stregone, sacerdote, ma soprattutto medico, si trasforma da inconsapevole empirismo a iniziale razionalizzazione delle proprie azioni, per cui si iniziano a creare le prime categorie, o meglio, le prime modalità di comportamento, uguale per le diverse fenomenologie che si presentavano. È quindi lo stadio della medicina empirica, tutta permeata da religiosità o da magia, che però accoglie i segnali positivi che vengono dall’utilizzo di alcune piante e tutta una serie di altre nozioni che la natura sembra trasmettere al nostro medico primitivo. Nel corso dei secoli le conoscenze vengono tra tramandate, raffinate e specialmente si fa strada l’osservazione dei fenomeni e il ragionamento sugli stessi. Si arriverà quindi sulla soglia delle antiche medicine che hanno caratterizzato le civiltà che meglio conosciamo.

 

Nei prossimi articoli vedremo scorrere alcune note sulla medicine antiche e noteremo come, seppur in presenza di scarsissimi documenti diretti, vi siano delle analogie presenti ancora attualmente, sia nella medicina popolare sia in piccole comunità che vivono ancora allo stato selvaggio. La medicina antica, indigena e popolare hanno, inutile negarlo, analogie impressionanti, come impressionante è la modernissima credulità verso forme mediche fantasiose o terapie che lo sono altrettanto, pur sconfessate in modo deciso dalla scienza ufficiale. Ma questa è tutta un’altra storia. (continua)

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