ARS medica: La rivoluzione ippocratita

Possiamo parlare di una medicina del mondo pre-ellenico prendendo spunto dalle notizie che emergono dai poemi omerici: l’Iliade e l’Odissea. L’impronta è da chirurgia bellica, le nozioni  anatomiche e fisiologiche sono rudimentali, anche se si colgono note di una certa acutezza nell’osservazione e nel comportamento. Prevale anche in questo periodo l’idea che la medicina è compenetrata dalla divinità. Apollo è il dio guaritore, anche se maggiori notizie si raccolgono attorno ad Asclepio, principe della Tessaglia e noto per i propri studi medici legati sempre alla cura delle ferite e delle lesioni da combattimento. In questo periodo la mitologia e la pratica si fondono indissolubilmente e quasi sempre l’ars medica si svolge o attorno o nei templi, ognuno dei quali è dedicato ad una specifica divinità. Il culto degli dei si fonde quindi con la capacità degli stessi di curare le malattie.

 

 

Hippocrates

I sacerdoti sono coloro che raccolgono dai malati e trasmettono al dio i sintomi e ne riportano poi i consigli per le cure. In una famosa iscrizione si legge: “che il malato entri, si lavi e si prepari, lasci i suoi vestiti e si metta una veste bianca. A piedi nudi, senza ornamenti, offra doni agli dei”. In questo modo si rafforza il connubio tra malato e divinità e il passaggio delle informazioni attraverso il sacerdote, che in ogni caso raccoglieva notizie, le quali poi venivano elaborate dagli stessi sacerdoti e quindi riportate al devoto. In questa specie di limbo, dalla stirpe di Asclepio, nel 460 a.C. nasceva Ippocrate di Coo e si può dire che con lui nasceva la civiltà medica. (Fig.a lato)

 

La grande rivoluzione ippocratica è la sua mirabile interpretazione della malattia: non più l’espressione dell’ira divina, ma una entità unica che invade tutto l’organismo, si manifesta con sintomi derivanti dall’organo più colpito, è l’espressione di tutto un organismo malato e viene trattata da un “professionista” medico. E questo professionista deve giurare: un atto rivoluzionario per quei tempi (Fig.a lato). Platone scrisse che Ippocrate concepiva la natura del corpo attraverso la conoscenza della natura dell’universo, collegando l’uno e l’altro in un mirabile concetto di unitarietà.

giuramento ippocrate

 

Questo concetto di unitarietà, che può trasformarsi in malattia, deriva dalla formazione filosofica di Ippocrate che elabora il rapporto tra natura e uomo e definisce mirabilmente come la natura stessa sia capace di modificare lo stato fisico dell’uomo a seconda dei luoghi dove lo stesso abiti, dell’aria che ivi vi respiri, dell’acqua che beva, di ciò che si nutra: il disequilibrio di queste componenti porta inevitabilmente alla malattia.

 

Ippocrate scrisse un insieme di libri che probabilmente ci sono giunti modificati da altri, stante il tempo trascorso, e formano il cosiddetto Corpus Hippocraticum, definizione data dai bibliotecari di Alessandria d’Egitto nel III secolo a.C. Originariamente i libri erano 72, suddivisi in 53 opere: gli argomenti sono i più vari, da scritti di contenuto etico e aforismi a nozioni di clinica e patologia, da regole di chirurgia a nozioni di ostetricia e pediatria, da insegnamenti di anatomia e fisiologia a note di terapia e dietetica.

 

hippocratis

Un’opera immensa, giunta, come si diceva, ai giorni nostri verosimilmente modificata da tutti coloro che se ne interessarono. La prima stampa moderna è del 1526, seguita poi da molte traduzioni (testo greco a fronte – lingua della nazione a fianco) dal 1800 in poi. I manoscritti degli amanuensi più antichi sono posseduti nelle biblioteche di stato di Vienna, di Parigi, del Vaticano e di Roma.
Non ultimi i commenti, a cominciare da Galeno e via via gli arabi e successivamente il periodo del Medioevo. (Fig.a lato)

 

Il filo conduttore di tutta la sua opera è il Dottrinario, retaggio prezioso di morale, di etica, di sapienza medica, che tutti coloro che esercitavano la nobile arte dovevano seguire. Ippocrate si interessò di anatomia, anche se in modo piuttosto limitato, ma con la caratteristica di essere “pratica”; in altri termini l’anatomia non è più una scienza occasionale, ma è uno strumento di conoscenza, seppure imperfetto, su cui poi applicare la medicina operativa.

 

Alla luce odierna tali conoscenze appaiono assai modeste, ma il fatto che si dividesse il corpo umano in diverse tipologie legate ai tessuti, agli organi e alla loro conformazione rende l’opera ippocratica fondamentale per capire il balzo che aveva fatto l’umanità con la sua figura. Non dimentichiamo infatti che con Ippocrate si inizia a parlare di “funzione” da parte di un organo, per cui si fanno strada i concetti di fisiologia, da cui poi per simbiosi la malattia, cioè l’alterazione delle funzioni originarie.

 

La dottrina ippocratica sulla patologia si basa sulla concezione umorale, anche se questo termine è attribuibile a Galeno. Su questo elemento la storia non ci dà alcuna mano. Comunque sia, le qualità intrinseche e costitutive di questi umori sono quattro: sangue, flegma, bile gialla, bile nera. Le loro qualità caratteristiche sono rispettivamente: sangue = caldo umido; flegma = freddo umido; bile gialla = caldo secco; bile nera, o atrabile = freddo secco. Il sangue viene dal cuore, il flegma proviene dal cervello, la bile gialla dal fegato, la bile nera dalla milza. Quando questi quattro umori sono perfettamente equilibrati si ha la “crasi” che corrisponde alla salute; quando l’equilibrio si rompe si ha la “discrasia”, cioè la malattia.

 

 

tempio di coo

 

Altro elemento basilare della dottrina ippocratica è la clinica: l’ammalato deve essere esaminato accuratamente, bisogna raccogliere più notizie possibili; unendo i sintomi raccolti e le osservazioni e le modificazioni emergenti dal corpo malato si raggiunge quindi la diagnosi. Tutto ciò comporta l’introduzione della semeiotica, cioè della capacità di toccare, valutare la qualità e la quantità delle secrezioni, sentire le differenze tra sano e malato e quindi desumere l’alterazione.

 

Altro elemento basilare della dottrina ippocratica è la clinica: l’ammalato deve essere esaminato accuratamente, bisogna raccogliere più notizie possibili; unendo i sintomi raccolti e le osservazioni e le modificazioni emergenti dal corpo malato si raggiunge quindi la diagnosi. Tutto ciò comporta l’introduzione della semeiotica, cioè della capacità di toccare, valutare la qualità e la quantità delle secrezioni, sentire le differenze tra sano e malato e quindi desumere l’alterazione.

 

Esso era rivolto particolarmente a conoscere lo stato presente del malato, per poterlo confrontare al passato, quando cioè il benessere era presente. Questo tipo di approccio “moderno” portava inevitabilmente alla prognosi, basata su segni particolari, ben definiti caso per caso, o stabiliti con criteri derivanti da una continua e diligente osservazione. Questa capacità di “prevedere il futuro”, cioè di definire la prognosi per il malato, era considerata qualcosa di divino nella personalità del medico e quanta importanza Ippocrate desse a questa capacità lo si rileva dall’inizio di un suo libro che comincia con: “Il miglior medico mi sembra essere colui che sa prevedere”. Singolare, ad esempio, è l’importanza che viene data ai segni “letali”, tra cui la famosa facies hippocratica e le dita ippocratiche che ancora oggi vengono considerate dalla moderna semeiologia.

 

Ciò che si deduce da questa breve analisi è che la diagnosi emergeva dalla accurata osservazione dei sintomi. Il malato era, insomma, una specie di libro aperto nel quale il medico doveva leggere attentamente, senza lasciarsi fuorviare da considerazioni estranee. Infine, il malato doveva essere trattato con il massi massimo rispetto e amore. Nei libri ippocratici la chirurgia viene trattata con una certa cura: sia negli interventi di una certa importanza, sia in quelli di minor impegno si nota una sicurezza di tecnica che spesso meraviglia. In questo campo furono arrecate numerose innovazioni, tanto che alcuni strumenti portano il nome da Ippocrate, quali il “banco” per ridurre le lussazioni e il “kinition” o trapano. Una particolare importanza acquistò la tecnica delle fasciature, che si pensa direttamente inventata da Ippocrate.

 

Gli interventi chirurgici erano spesso legati ai traumatismi bellici o della vita comune, ma aveva spazio anche la trapanazione del cranio, che era legata più o meno a traumi del capo. Importante è il consiglio di non adoperare oli o unguenti sulle ferite, ma solo l’applicazione di teli e il riposo della parte interessata.

 

Uno dei più frequenti appunti che gli storici fanno all’opera di Ippocrate è quello di essere troppo scarsa di terapia. In realtà alcuni autori dimostrano al contrario che i semplici medicinali riportati negli scritti sono molti e sono presenti anche ricette composte di parecchi ingredienti. Ampio spazio avevano le erbe e i minerali. Venivano adoperate come antinfiammatorie le ventose semplici; si praticavano irrigazioni vaginali, inalazioni e lavaggi.

 

È anche vero che Ippocrate, o chi per lui scrisse una parte della sua opera, pur conoscendo un numero discreto di semplici medicinali, ne faceva uso moderato o perlomeno un uso che non corrispondeva a quello corrente. Per cui il nostro medico veniva accusato dai detrattori di essere un “mediatore della morte”. Ma il principio di Ippocrate era quello di “primum non nocere”, detto che si diffuse in tutta la medicina sino ai giorni nostri.

 

Tale aforisma risponde al ragionamento anticipatorio di non indurre altre malattie con l’utilizzo di terapie non corrette. Sono quella stessa classe di malattie che la medicina moderna individua come “iatrogene”. Il merito della terapia ippocratica è che, a differenza dell’empirico che si preoccupava delle cause prossime dei sintomi per produrre un effetto che poteva essere semplicemente palliativo, Ippocrate persegue il principio più profondo, cioè quello di giungere alle cause prime della malattia, alle radici del male, insomma alla natura stessa che è inscindibile dal corpo umano.

 

Con Ippocrate inizia l’utilizzo del salasso, che era un metodo di evacuare gli umori negativi. Questa metodologia proseguirà per secoli e sappiamo bene quante polemiche suscitò nel momento in cui insorsero i primi avversari a questo tipo di trattamento. Due novità nella medicina ippocratica sono la dietetica e l’idroterapia. L’importanza dell’alimentazione era già stata presa in considerazione da altre filosofie mediche, ma con Ippocrate diventa un mezzo specifico per accelerare, per quanto possibile, la guarigione del malato. Egli diede quindi grande valore all’uso di bibite particolari, alle tisane e all’idromele, che nella dieta ippocratica aveva un posto importante. La dieta inoltre era considerata un mezzo per prevenire l’alterazione degli umori, proprio perché la stessa portava ad un’opportuna regolazione dei loro flussi e quindi all’equilibrio nel corpo.

 

L’idroterapia sembra che venisse specificamente adoperata nel tempio di Coo: acque di differenti origine e di diversa natura risultano essere state convogliate nei pressi del tempio stesso. Gli scavi hanno fatto venire alla luce diverse condutture in terracotta dalle cui concrezioni calcaree si è potuto risalire alla composizione delle acque che le percorrevano. Le acque venivano adoperate sia come bevanda sia come lavacri: della loro efficacia purtroppo ben poco risulta dai libri ippocratici, forse andata persa nel tempo. Concludendo questo breve excursus si può dire che tali furono Ippocrate e il periodo della medicina greca che da lui prese il nome. Agli occhi moderni egli appare come un acuto osservatore e un geniale elaboratore di idee, proprio perché quando si dice “ippocratico” si intende un sano concetto della medicina clinica.

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