Attività fisica come complemento della prescrizione medica

È necessario un maggior collegamento tra il medico e il mondo del fitness.

 

“Faccia attività fisica” è la generica indicazione che moltissimi medici danno ai loro pazienti. In realtà è un consiglio, non una prescrizione: per trovarla infatti bisogna gravitare nel mondo della riabilitazione, dove ai pazienti vengono indicate le attività specifiche per il recupero funzionale, i tipi delle stesse, i tempi di esecuzione e di recupero.

 

Siamo però nel campo della patologia e resta a discrezione del soggetto che cosa fare nell’ambito della normale vita quotidiana. Lo diciamo sottovoce, ma chi mi conosce sa da quanto tempo lo vado affermando, che il corso di laurea in medicina non prepara i neo laureati nell’ambito dell’attività fisica specifica riferita alle varie classi di età.

 

Va fatta una premessa metodologica: l’attività fisica “generale” è compatibile con il gioco dei bambini, con l’andare a fare la spesa, con il salire le scale non usufruendo dell’ascensore, nel fare le faccende domestiche.

 

Nel momento in cui tale attività si trasforma in esercizio si innesca un meccanismo di controllo, di ripetibilità, di sicurezza e di specificità rispetto all’individuo e all’ambiente che lo circonda. Insomma, si instaura il concetto di “metodologia” che deve essere indicato da personale esperto.

 

 

Facendo un ulteriore salto di qualità si arriva all’allenamento, che è la progressione di diversi tipi di esercizio con finalità precise che ha insito in sé il concetto di benessere e di adattamento, cioè la capacità del nostro corpo di migliorare la risposta cardio-polmonare e muscolo-articolare al percorso allenante. Tanto più questo step deve essere condotto da personale molto esperto e non si può sicuramente improvvisare o delegare ad un tutorial su Youtube.

 

 

Con l’avanzare dell’età vi è un fisiologico deterioramento di tutti i sistemi funzionali che compongono il nostro organismo, anche senza la presenza di sintomi avversi. La maggiore espressività nel “deterioramento” legato alle classi di età del senior sono espresse dalla diminuzione della VO2max e dal diminuito rendimento dell’apparato muscolo-scheletrico in relazione alla fatica fisica.

 

Il discorso si apre a questo punto in un ventaglio di possibilità immenso perché si potrebbe parlare dei cambiamenti della composizione corporea, del sistema immuno-endocrino, della componente neurologica, di quella neurocognitiva e psicologica e di mille altri aspetti.

 

Ritornando quindi all’inizio di questo scritto e in relazione al fatto di aspettarsi che il medico non si limiti solamente a consigliare ma “prescriva” anche l’attività fisica, bisogna che la classe medica capisca come l’attività fisica può diventare in molti casi un elemento discriminante tra invecchiare bene o trascinare stancamente la propria senilità.

 

È chiaro che per poter stabilire la durata, l’intensità e la regolarità di un allenamento ci vogliono due momenti fondamentali: una valutazione complessiva dello stato di salute, rilevata tramite eventuali esami di laboratorio, e un Personal Trainer che sia in grado di svolgere un fit check tecnico eccellente, potendo, attraverso dei test ripetuti, rilevare le variazioni fisiche nel cliente che sta seguendo.

 

Dicevamo, appunto, della risposta adattiva che l’allenamento è in grado di indurre nell’organismo a livello dei differenti sistemi corporei: in questo concetto si parla ormai da tempo di epigenetica, ovvero di quella branca della genetica che si interessa delle modificazioni del DNA indotte non solo dall’avanzare dell’età ma anche dall’ambiente che ci circonda.

 

 

Principalmente ci si è interessati dei telomeri, che sono i “finali” posti all’estremità dei cromosomi, che sono espressione dell’integrità del gene e hanno la cattiva abitudine di accorciarsi ad ogni divisione cellulare. La loro lunghezza quindi rappresenta un indicatore preciso di invecchiamento biologico nell’uomo e si è visto come l’esercizio fisico intervenga in modo significativo sui telomeri stessi.

 

Cherkas e Simpson hanno dimostrato che la lunghezza dei telomeri è positivamente correlata con la quantità di attività fisica svolta, indipendentemente da altri fattori; studi successivi hanno anche calcolato la correlazione tra quantità di dispendio energetico settimanale e incidenza sull’attività telomerica stessa.

 

Potremmo anche parlare delle modificazioni a carico degli istoni, dell’intervento sul mRNA, sull’attività delle sirtuine, sulla produzione delle citochine pro-infiammatorie, sinanco di singoli sottogruppi di linfociti T. Ma questa è tutta un’altra storia.

 

Quello che ci interessa ribadire, facendone un forte appello alla comunità medica, è che l’attività fisica non deve essere un semplice consiglio, ma una vera prescrizione indicandone i tempi e i limiti e, nel caso non si fosse esperti nel campo, l’invito a rivolgersi a personale dedicato che abbia compiuto un percorso formativo nel campo delle scienze insite nell’attività motoria.

 

 

 

a cura di Silvano Busin –  Direttore Scientifico Issa Europe già Direttore Riabilitazione Specialistica, Ospedale Sacco, Milano |  Docente Corso Laurea in Fisioterapia, Università degli Studi, Milano

 

 

 

 

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