Perché misurare la variabilità della frequenza cardiaca? Che cos’è l’HRV – Heart Rate Variability davvero e cosa rappresenta per il nostro benessere? Possiamo immaginare la valutazione di questo parametro come una preziosa opportunità per monitorare la capacità di sostenere sfide da parte del nostro corpo. Tali sfide possono essere inerenti alle performance sportive, al recupero funzionale eccetera.
Cos’è l’HRV Heart Rate Variability
Partiamo quindi con la definizione di che cos’è l’HRV – Heart Rate Variability per passare poi ai criteri utili per valutarla.
Con Heart Rate Variabiity si intende la continua variazione dell’intervallo di tempo che intercorre fra un battito cardiaco e il successivo,
Consideriamo però che il corpo umano non è la semplice somma degli organi che lo compongono. È un complesso di sistemi integrati, Una sorta di network cellulare, in cui strutture e apparati differenti anatomicamente e funzionalmente, agiscono in modo armonico e sinergico. Tale organizzazione è dinamica e aperta, in contatto continuo con il mondo esterno. Questa incessante interfaccia comporta costanti adattamenti allo scopo di preservare o ripristinare uno stato di equilibrio chiamato Omeostasi e da cui dipende il nostro stato di salute.
Omeo-stasi è una parola composta che deriva dal greco, tradotta letteralmente come “stessa-fissità”. La doppia radice assume il significato più ampio e profondo di “mantenere una stabilità, un equilibrio interno attraverso continue variazioni e aggiustamenti di parametri vitali”. Entrano in gioco e si abbinano diversi fattori, al fine di preservare elementi essenziali alla nostra vitalità e salute (quali l’idratazione, il PH, la pressione, la glicemia, la temperatura, eccetera). Su tali elementi vengono realizzati continui interventi, al fine di mantenerli attorno a specifici valori di riferimento (set point omeostatici).
I processi che generano dei cambiamenti con lo scopo di stabilire un equilibrio si definiscono allostatici. La variazione-allostasi che determina la stabilità-omeostasi manifesta una fisiologia e biologia fortemente intricata, ricca di eventi non lineari. Avvenimenti che sottintendono la presenza di una struttura che si occupi di interpretare, analizzare, organizzare e dirigere il tutto.
Nel tentativo di descrivere questo sistema di gestione, alla fine del secolo scorso, è stato proposto in letteratura il “Neurovisceral Integration Model (NVIM)”. Tale modello prospetta come centro di regolazione omeostatica il “Central Autonomic Network” (CAN). Essa è una struttura neurologica che comprende diverse componenti corticali, sottocorticali e tronco-encefaliche. Sulla base di informazioni provenienti dall’interno, dall’esterno del nostro corpo e dalle emozioni, il CAN attua delle strategie regolative volontarie e/o involontarie. Si tratta di azioni biologiche, organiche, cognitive, comportamentali, emozionali che fanno la nostra capacità di adattamento e che definiscono la nostra condizione di benessere psico-fisico, quello che in ISSA definiamo come Efficienza Fisica.
Che cos’è allora l’HRV – Heart Rate Variability? Alla luce di tutto quanto illustrato, è un indice fondamentale del funzionamento del sistema nervoso autonomo. L’HRV è strettamente connessa con fattori importanti dell’efficienza fisica e della salute in generale (dall’autoregolazione alla gestione di dolore, infiammazione, stress eccetera).
Proprio la misurazione dell’HRV fornisce dati fondamentali per la valutazione del benessere e dai quali partire per promuovere miglioramenti.
Frequenza cardiaca, come funziona un cuore in salute
In un articolo intitolato “The hierarchical basis of neurovisceral integration”, pubblicato su Neuroscience & Biobehavioral Review nel 2017, Thayler, Smith, Kalsa e Lane descrivono la rete autonomica suddividendola in 8 livelli. Fra tali livelli viene proposto un vero e proprio ordine gerarchico (Fig.1). Si parte in basso con i processi di autoregolazione intra-organo, per poi passare, risalendo, ai meccanismi che mettono assieme due o più organi e apparati.
Al vertice sono posti i centri direttivi corticali e sottocorticali che consentono di ottenere strategie regolatorie complesse, integrate, flessibili e adeguate al contesto. Meglio funziona questo network, più elevate sono le capacità omeostatiche e adattative dell’uomo.
L’immagine presente nell’articolo (Fig. 2) che manifesta tale organizzazione multilivello, mostra le tante interazioni necessarie al funzionamento del cuore. La scelta è dimostrativa, il modello poteva rappresentare qualsiasi altro organo (fegato, reni, intestino, ecc.), ma non casuale.
Considerando tutto questo è possibile prendere coscienza di come la funzionalità ritmica del muscolo cardiaco, determinata dal suo sistema di auto-generazione e conduzione dell’impulso contrattile, sia continuamente modulata e adattata alle numerose e diverse necessità del corpo.
Per esempio, a livello 1, si comprendono le variazioni che si generano nel cuore stesso. Come quelle procurate dal maggior stiramento delle fibre miocardiche (principio di Frank-Starling) o dalla presenza nei vasi coronarici di CO2 e ioni di idrogeno in eccesso (fattori umorali).
I livelli 2 e 3 presentano le modificazioni indotte a livello spinale e tronco encefalico che legano l’accelerazione-decelerazione del miocardio all’ispirazione-espirazione (RSA, Aritmia Seno Respiratoria) e agli aggiustamenti che regolano la pressione (Baroreflex). Essi sostengono cioè alcune delle funzioni vitali che prescindono dalla coscienza.
Il livello 4 coinvolge l’Ipotalamo. Comporta le alterazioni adatte a sostenere la ciclicità circadiana dei nostri ritmi, gli interventi ormonali, metabolici, il mantenimento della temperatura, dell’idratazione, ecc.
Con i livelli da 5 a 8, si raggiungono alcune delle componenti sottocorticali (limbiche, talamiche e dei gangli della base) e i lobi corticali. Qui prendono forma gli aggiustamenti necessari a supportare la parte cognitiva, le emozioni, i gesti e i comportamenti consapevoli e inconsapevoli. Vengono assistite le azioni identificate come di “attacco o fuga” e quelle volte “recupero energetico, psico-fisico e al riposo”.
L’elenco e relative descrizioni non sono esaustivi. Credo però possano essere sufficienti a rappresentare i numerosi e diversi input ricevuti dal muscolo cardiaco e la loro gerarchia. Tali impulsi alterano la sua funzionalità ritmica e dai circuiti ad esso collegati, portandola verso una spiccata variabilità. Questa caratteristica consente di ottenere dal miocardio prestazioni sempre adattabili e adeguate alle molteplici richieste.
A riprova di ciò, nel 2014 viene pubblicato su Frontiers in Psycology l’articolo “A health heart is not a metronome: an integrative review of the heart’s anatomy and heart rate variability”. L’intestazione scelta dagli autori (Shaffer, McCraty e Zerr) non poteva essere più chiara. Un cuore in salute non è un metronomo. Vale a dire che deve presentare delle differenze temporali tra una contrazione e l’altra. Tali divergenze, misurate in millisecondi, esprimono il concetto di “variabilità cardiaca” o Heart Rate Variability (HRV).
Un concetto che ha generato innumerevoli ambiti di utilizzo (medico, sportivo, nutrizionale, lavorativo, fitness, ricreativo, ecc.) e diversi applicativi ricavabili (valutazioni generali, specifiche, piani di intervento, sistemi di ripristino, biofeedback, ecc.).
Come si misura l’Heart Rate Variability
Il gold standard per la valutazione della HRV è l’elettrocardiogramma (ECG). L’ECG misura l’attività elettrica cardiaca e consente di rappresentare graficamente le varie fasi di contrazione e rilassamento. In un tipico tracciato è possibile individuare diverse componenti, tra le quali spicca il complesso QRS che identifica l’azione contrattile dei ventricoli. Il numero dei picchi R ottenuti in un minuto, costituisce la Frequenza Cardiaca o Heart Rate (HR), ossia la velocità di contrazione del cuore. La distanza misurata in millisecondi tra un picco R e l’altro costituisce la variabilità della frequenza cardiaca o Heart Rate Variability.
I domini…
In un sistema cardiovascolare efficiente e in un Central Autonomic Network che funziona perfettamente, il tempo misurato tra un picco R e quello successivo deve essere diverso. Fin qui, tutto abbastanza facile. Il dato, analizzato sotto diversi aspetti, produce diversi indici, raggruppati in 3 domini principali che rendono più complessa l’analisi:
- Dominio del Tempo, i cui indici derivano da calcoli statistico-matematici (RMSSD – Root Mean Square of the Successive Differences; SDNN – deviazione standard, standard deviation, SD degli intervalli “normal to normal” – pNN50, la frazione di differenze in valore assoluto superiori a 50 msec e così via).
- Dominio delle Frequenze. Come si intuisce dal nome, lo spettro di frequenza ottenuto dall’ECG si suddivide in varie porzioni e ottenute bande di frequenza alta (High Frequency – HF), bassa (Low Frequency – LF), molto bassa (Very Low Frequency – VLF) e ultra bassa (Ultra Low Frequency – ULF).
- Domini Geometrici Non Lineari che consentono di valutare qualitativamente la variabilità cardiaca, affrontandone le dinamiche caotiche e non lineari. (Pointcarè Plot, Sample Entropy, Pointwise Correlation Dimension, Approximate Entropy, ecc.)
… e i criteri da valutare
Ognuno di questi domini si differenzia per le informazioni che è possibile ricavare, per le modalità di misurazione e per la tipologia di strumentazione utilizzabile. Ovviamente, fermo restando l’ECG come Gold Standard. Sono punti nodali per una corretta valutazione e utilizzo della HRV e che si collegano ad altri aspetti importati quali:
- Il momento della giornata in cui si valuta (al mattino appena svegli, di pomeriggio, di sera).
- La condizione che si vuole valutare (di riposo, sotto stress, recupero o in pratica de-stressante).
- Se si utilizza l’ Heart Rate Variability come Biofeedback, ovvero come monitor per verificare il reale effetto sulla nostra salute di una pratica, di una situazione, di un esercizio, di un nutriente e così via.
Autore: Francesco Malatesta
Tags: battito cardiaco, cuore, salute, wellness