Introduzione
Il crescente interesse circa gli effetti dell’esercizio fisico sul sistema immunitario ha portato a istituire una specifica branca dell’immunologia allo scopo di studiare le variazioni dell’assetto immunitario indotte dal lavoro muscolare. Nonostante i primi dati pubblicati risalgano all’inizio del secolo scorso, con la pionieristica osservazione di Larrabee (1902) che al termine della maratona di Boston del 1901 osservò un significativo incremento leucocitario in un piccolo numero di partecipanti, l’immunologia dell’esercizio si sviluppa solo a partire dalla seconda metà degli anni ’80, stimolata dai significativi riscontri di natura infettiva delle prime vie aeree (Upper Respiratory Tract Infection, URTI) su atleti di alto livello dediti a discipline di endurance.
La maratona di Los Angeles del 1984 segna l’inizio di questo importante passaggio storico cui segue un imponente aumento dei lavori pubblicati grazie soprattutto ai contributi dell’americano David Nieman a cui si devono gli storici studi di modellistica utilizzati per descrivere i meccanismi di risposta immunologica allo stress muscolare [Nieman et al., 1988].
Successivamente la ricerca in questo campo si è notevolmente ampliata e, soprattutto negli ultimi anni, lo studio delle variazioni dell’assetto immunitario indotte dall’esercizio fisico (variabile per tipologia, intensità e durata) in relazione alle caratteristiche dei soggetti (età, sesso, stato di nutrizione, livello d’allenamento, ecc) ha portato a un volume di dati veramente consistente.
Attività fisica, sport e sistema immunitario
Le attuali position statement dell’ISEI (International Society of Exercise and Immunology) sottolineano come l’attività sportiva intensa e prolungata soprattutto di endurance (es. maratone, ultramaratone, IRONMAN, eccetera), sia in modalità acuta (gare), sia cronica (preparazione fi sica, allenamenti), possa in soggetti predisposti “indebolire” il sistema immunitario inducendo l’organismo a contrarre con maggior frequenza patologie di natura infettiva; al contrario, l’esercizio fisico regolare di moderata entità (vedi linee guida ACSM) sembra “stimolare” il sistema immunitario, esercitando sull’organismo effetti di tipo protettivo.
I soggetti moderatamente attivi, rispetto ai sedentari e a chi si sottopone a pesanti allenamenti, sembrano quindi essere la categoria a minor rischio di contrarre infezioni (soprattutto URTI) (Figura 1) e questo è stato messo in relazione a numerosi fattori (Figura2) [Walsh et al., 2011]. Diverse sono le risposte metaboliche derivate dall’attività fisica che possono sollecitare il sistema immunitario. Ciò che fa la differenza è l’intensità, durata e frequenza di allenamento che, come un “farmaco”, vanno opportunemente “dosate” al fine di ottenere le risposte fisiologiche volute.
Due i meccanismi più studiati:
1) l’aumento della produzione di cortisolo, catecolamine e altre molecole di regolazione (citochine), legato agli aspetti bioenergetici muscolari e correlati a fenomeni di adattamento;
2) la formazione di “microtraumi” muscolari associati all’esercizio fisico, capaci di attivare risposte dell’immunità cellulare (macrofagica e neutrofilica) con liberazione di molecole ad attività adattativa.
In tempi molto più recenti è stata dimostrata anche una relazione tra il microbiota intestinale (ovvero l’insieme dei microorganismi simbiontici che vivono nell’apparato enterico), il sistema immunitario che risiede nella mucosa intestinale (GALT, Gut-Associated Lymphoid Tissue) e l’esercizio fisico [Lamprecht e Frauwallner, 2012]. Tali interazioni vedono, inoltre, legami con la nutrizione e l’utilizzo di determinati supplementi, probiotici in particolare. Su tale argomento, d’importante riscontro [Zuhl et al., 2014] sono le acquisizioni di come l’esercizio fisico intenso e protratto (es. maratona) possa alterare la permeabilità intestinale, con la comparsa di segni e sintomi più o meno importanti (diarrea, dolori addominali) soprattutto durante e dopo il lavoro muscolare.
Il sistema immunitario in breve
Il sistema immunitario è un sistema integrato in cui cellule e mediatori chimici innescano e controllano processi biologici deputati a difendere l’organismo da agenti estranei di varia natura (chimica, fisica, infettiva). Le risposte del sistema immunitario possono essere classificate in base alla velocità e alla specificità con cui intervengono.
Nelle fasi precoci di un attacco antigenico i meccanismi di difesa chiamati in causa sono sostanzialmente aspecifici e convenzionalmente raggruppati nel termine d’immunità innata (o naturale). Solo più tardivamente e con un grado di latenza che dipende dalla specie antigenica (giorni o settimane), il sistema immunitario mette in atto un meccanismo di difesa caratterizzato da elevata specificità, definito immunità adattativa (o acquisita).
I due meccanismi di difesa sono funzionalmente integrati. Il sistema immunitario interviene anche nella regolazione del processo infiammatorio.
Immunità innata
I meccanismi dell’immunità naturale coinvolgono diversi meccanismi di barriera. Le cellule comprendono principalmente macrofagi, neutrofili, cellule Natural Killer (NK), mastociti e cellule dendritiche; i fattori umorali comprendono il sistema del complemento, le proteine di fase acuta ed enzimi litici (lisozima).
Tra i fattori umorali dell’immunità naturale possono essere inclusi anche gli interferoni, nonostante le loro funzioni siano in parte di carattere modulatorio e si svolgano nell’ambito delle risposte immunitarie di tipo adattativo. Le cellule dell’immunità innata agiscono attraverso un sistema recettoriale specifico: Toll-like receptor (TLR). I TLR vengono espressi da differenti tipi cellulari (ad esempio i macrofagi esprimono il TLR4), permettendo una modulazione della risposta innata a seconda del tipo di patogeno e del sito d’infezione.
Immunità adattativa
La risposta immunitaria di tipo adattativo o specifica, è selettivamente basata sull’attività dei linfociti, pur coinvolgendo l’azione di elementi dell’immunità naturale.
I linfociti, dislocati in diverse parti dell’organismo, comprendono due principali sottopopolazioni cellulari: i linfociti B e i linfociti T.
I linfociti B promuovono la cosiddetta “immunità umorale”, mediata dagli anticorpi, mentre i linfociti T sono responsabili della cosiddetta “immunità cellulo-mediata”.
Immunità umorale
Il sistema immunitario produce numerosi cloni di linfociti B, ciascuno dei quali possiede una specifica ed omogenea popolazione di recettori antigenici di superficie. I linfociti B si sviluppano nel midollo osseo e si distribuiscono nei tessuti linfatici periferici, restando in circolo nel sangue o nella linfa soltanto per pochi giorni.
Gli anticorpi prodotti, sono molecole di riconoscimento di natura proteica (immunoglobuline) in grado di legarsi selettivamente all’antigene che ne ha stimolato la formazione.
L’associazione tra anticorpo e antigene forma un “immunocomplesso” facilmente riconoscibile ed attaccabile dai sistemi non specifici di eliminazione: macrofagi, neutrofili, complemento. Esistono cinque classi di anticorpi, indicate come IgM, IgA, IgG, IgE e IgD e sono distinte per peso molecolare, proprietà biologiche e siti di origine.
Immunità cellulo-mediata
Le risposte cellulo-mediate dell’immunità adottiva sono legate all’attività di due linee cellulari di linfociti T, T helper (Th) e T citotossici (Tc). I linfociti Th modulano numerosi processi immunologici e comprendono due sottopopolazioni funzionalmente distinte: Th1 e Th2.
I Th1 promuovono l’attività fagocitaria e l’attivazione delle cellule NK; i Th2 favoriscono le risposte umorali anticorpo-mediate, stimolando il differenziamento dei linfociti B in plasmacellule e intervenendo sui meccanismi di produzione e distribuzione anticorpale. I Th2, inibiscono l’attività dei Th1. I Tc svolgono un’azione distruttiva diretta nei confronti di cellule infettate da virus.
Sistemi di regolazione: le citochine
Le risposte del sistema immunitario sono regolate da mediatori chimici, le citochine; oligopeptidi ad azione immunoregolatoria di cui principale, ma non esclusiva fonte, sono linfociti e macrofagi. Le citochine si comportano come molecole trasportatici di segnali, mediando attività cellulari di diverso tipo ed intervengono in tutti i processi di crescita, proliferazione, differenziamento e attivazione delle cellule immunocompetenti; sono inoltre coinvolte nelle reazioni infiammatorie e immunitarie.
Le principali citochine comprendono: Interleuchine (IL-1,…IL-13), Tumor Necrosis Factors (TNF, TNF), Interferoni (IFN, IFN, IFN). Oltre ad agire localmente, le citochine possono entrare nella circolazione sistemica e svolgere azioni biologiche anche su organi posti a notevole distanza dai loro siti di produzione.
La risposta immunologica all’esercizio
Molti degli effetti che l’esercizio fisico induce sulle popolazioni cellulari immuno-competenti (soprattutto neutrofili e macrofagi) sono legate a quanto si osserva nel tessuto muscolare nelle fasi che intervengono durante e al termine del suo svolgimento. A seconda dell’intensità/durata del carico sostenuto il muscolo mostra segni di lesioni micro e ultrastrutturali esercizio-indotti cui si accompagnano/seguono dinamiche di risposta più o meno marcate in relazione all’entità del danno. La formazione di microlesioni entro certi limiti viene considerata parte integrante dei meccanismi d’adattamento associati all’allenamento e il processo infiammatorio che si accompagna volge ad esaurimento, in tempi più o meno lunghi, autolimitandosi con la risoluzione del danno.
Tuttavia, un soggetto che si sottopone a carichi troppo intensi e ripetuti senza adeguata preparazione o che affronta competizioni sportive particolarmente impegnative con una certa frequenza o che incrementa volume e/o intensità degli allenamenti senza dosare adeguatamente le fasi di recupero, può sviluppare forme microtraumatico-infiammatorie più marcate e persistenti. Tali esiti possono condurre a inappropriati e durevoli stimoli migratori leucocitari (neutrofili, monociti/macrofagi) dal circolo sanguigno verso i muscoli sede del danno, sbilanciando la loro distribuzione nell’organismo.
La DOMS e il danno muscolare
A 24 – 48 ore dal termine di esercizi fisici intensi il muscolo va incontro a una situazione caratterizzata da inturgidimento e dolenza, definita DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness) [Armstrong, 1986]. La DOMS è riconducibile alla presenza di microtraumi miofibrillari che insorgono nei muscoli sottoposti a forte e prolungata sollecitazione meccanica [Friden et al., 1981; Armstrong, 1984,
Ogilvie et al., 1985; Ogilvie et al., 1988]. La DOMS è evidenziabile attraverso l’incremento plasmatico di alcune sostanze che da tempo vengono utilizzate come indicatori indiretti di danno tessutale: creatinchinasi (CK), lattico deidrogenasi (LDH), mioglobina, 3-metil-istidina e proteina C-reattiva [Tiidus e Iannuzzo, 1983; Fry et al., 1991; Stone et al., 1991; Volfinger et al., 1994; Nosaka e Clarkson, 1995; Noakes, 2001]. La presenza di microtraumi muscolari post-esercizio induce una reazione di tipo infiammatorio [Tidball, 1995], coinvolgendo numerosi mediatori chimici (citochine in particolare) che a livello locale promuovono una sequenza di fenomeni finalizzati al contenimento del danno, alla “ripulitura” (scavenging) del tessuto leso e alla sua riparazione. Tra le citochine, l’IL-6 è tra quelle maggiormente implicate: i suoi livelli ematici possono incrementare consistentemente (fino a 100 volte i valori di riposo) nel corso d’impegni sportivi prolungati [Pedersen et al., 2001].
L’IL-6 verrebbe prodotta direttamente dal muscolo scheletrico in seguito a stress meccanico e oltre a regolare parte del processo infiammatorio locale, la sua immissione in circolo avrebbe importanti significati metabolici, quali l’induzione della glicogenolisi epatica e della lipolisi [Pedersen et al., 2001; Pedersen e Febbraio, 2008] (Figura 3).
Il processo infiammatorio richiama anche cellule NK [Fielding et al., 1993], la cui presenza a livello muscolare si ritiene abbia uno specifico ruolo regolatorio sui meccanismi di riparazione cellulare post-traumatica nelle prime fasi di recupero post-esercizio [Malm et al., 2000].
Effetti dell’esercizio fisico a carico moderato sul sistema immunitario
Diversamente dall’esercizio fisico intenso e prolungato, l’attività fisica moderata svolta nel corso della vita è in grado di esercitare effetti positivi sul sistema immunitario (Figura 4).
Per esercizio moderato s’intende generalmente un’attività con determinate caratteristiche:
1) di durata non superiore a 1,5-2 ore di lavoro muscolare intenso;
2) d’intensità non superiore al 75% della VO2max;
3) con frequenza che generalmente non supera le 5 sedute settimanali.
Diversi autori suggeriscono che soggetti moderatamente attivi abbiano un rischio minore di contrarre infezioni rispetto a chi si sottopone a pesanti allenamenti (ad esempio oltre tre/quattro ore al giorno di attività fisica intensa) o a soggetti sedentari; inoltre, le popolazioni che praticano regolare esercizio fisico sono meno predisposte a sviluppare malattie cronico-degenerative (notoriamente legate ad aspetti immuno-infiammatori) rispetto alle popolazioni inattive (Figura 5). Si ritiene che il rafforzamento del sistema immunitario indotto dall’esercizio derivi dagli effetti di stimolo che ogni singola seduta di allenamento esercita sull’organismo e dalla loro ripetuta “sommazione” nel tempo [Negro et al, 2016].
L’esercizio fisico moderato misto (aerobico/anaerobico) si è rivelato in grado di migliorare diversi parametri immunologici [Negro et al, 2016]:
1) numerosità, proliferazione ed espressione delle sottopopolazioni linfocitarie Th1 e Th2 (l’esercizio moderato favorisce, infatti, la risposta linfocitaria Th1, migliorando le difese immunitarie cellulomediate);
2) livelli di immunoglobuline sieriche e secretorie;
3) aumento dell’attività citotossica delle cellule NK (NKCA);
4) aumento dei sistemi di riconoscimento dei patogeni e della capacità antigene presentante dei macrofagi;
5) aumento dell’attività fagocitaria di neutrofili e macrofagi;
6) maggiore efficacia dei vaccini antinfluenzali.
Lo svolgimento di un programma regolare di esercizio fisico rappresenta un approccio terapeutico efficace anche per prevenire/ritardare l’insorgenza delle patologie croniche associate al basso grado d’infiammazione età-correlato (inflammaging).
Numerosi studi hanno evidenziato una stretta associazione tra inflammaging e inattività fisica in soggetti sani, mentre è stato dimostrato che l’esercizio fisico aerobico regolare in adulti e anziani è in grado di ridurre i livelli circolanti di citochine infiammatorie che vanno tipicamente aumentando nel corso dell’invecchiamento (IL-6, IL-1b e TNF-α) [Negro et al, 2016].
A tal proposito va sottolineato come tali aumenti siano legati soprattutto all’incremento età correlato del grasso a localizzazione viscerale e alla relativa infiltrazione macrofagica. Anche l’esercizio moderato di forza ha dimostrato di ridurre i livelli muscolari di TNF-α, il cui aumento negli anziani è correlato al declino della sintesi proteica tipico della senescenza e a una riduzione della forza muscolare. Inoltre si suppone che la riduzione dell’inflammaging sia fortemente coinvolta nella prevenzione dei tumori.
Alcune meta-analisi hanno evidenziato che l’attività fisica può ridurre del 46% l’incidenza di sviluppo di tutti i tipi di cancro, con lavori che hanno sottolineato in particolare l’efficacia preventiva dell’esercizio aerobico regolare nei confronti di neoplasie del retto, del seno e della prostata [Negro et al, 2016].
Conclusioni e linee guida
L’immunologia dell’esercizio pur essendo argomento particolarmente affascinante rimane ancora per ora un terreno di studio per certi versi “teorico”, soprattutto in campo sportivo di alto livello in cui le preparazioni fisiche e il calendario di gare sono inevitabilmente pressanti e sottopongono gli atleti a differenti stress di natura psico-fisica, difficilmente prevedibili e modificabili. Attualmente, si ritiene che l’esercizio fisico particolarmente impegnativo (acuto o cronico) possa rappresentare un fattore di rischio infettivo per alcune tipologie di soggetti, ma sembra necessaria la presenza di determinate situazioni (esposizione a nuovi patogeni, scarso riposo, stress psicologico, malnutrizione, calo di peso repentino) affinché le infezioni possano effettivamente manifestarsi [Walsh et al., 2011].
Esiste una serie di raccomandazioni che prevedono accorgimenti (anche di natura nutrizionale) per il supporto immunologico sia di atleti, sia di soggetti praticanti attività di fitness.
Tali raccomandazioni hanno lo scopo di attenuare, per quanto possibile, l’insorgenza di segni e sintomi clinici esercizio-correlati almeno nei soggetti più predisposti (tabella 1) [Gleeson, 2015].
Gli sforzi attuali della ricerca si stanno concentrando per stabilire come e in che modo l’alimentazione e/o l’uso di determinati supplementi possa influenzare le risposte del sistema immunitario all’attività fisica, al fine di prevenire l’insorgenza di sindromi infettivo-infiammatorie, in particolare di natura cronica, soprattutto nelle categorie di soggetti maggiormente esposte: atleti di endurance e ultraendurance, soggetti praticanti attività di forza (es. cross-fit), spesso inadeguata per frequenza e periodizzazione annuale, soggetti con elevati carichi di allenamento che si sottopongono a regimi nutrizionali carenti dal punto di vista energetico/proteico, soggetti adulti e/o anziani sedentari (e per definizione non condizionati) che iniziano un programma di allenamento troppo intenso e/o frequente rispetto alle loro capacità residue di adattamento fisiologico.
a cura di Massimo Negro Resp. Nutrizione Medicina dello Sport Voghera – Università di Pavia & Giuseppe D’Antona Direttore Medicina dello Sport Voghera – Università di Pavia
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Autore: Giuseppe D'Antona, Massimo Negro
Tags: allenamento, danno muscolare, DOMS, esercizio fisico, inattività fisica, linee guida, risposta immunologica, sistema immunitario, sport