La decodifica del genoma umano ha dato avvio a un enorme incremento delle conoscenze sulla struttura e organizzazione dei nostri geni, oltre che sulla sequenza delle basi che li compongono. Quest’affascinante frontiera è stata raggiunta grazie alla sinergia tra ricerca biomedica e tecnologia informatica per arrivare a identificare i circa 38.000 geni del nostro genoma. All’interno di ciascun gene esiste una specifica sequenza di nucleotidi lungo la catena del DNA che attribuisce una specifica carta d’identità per la codifica di una data proteina.
I nostri 38-40.000 differenti geni codificano (quindi, scrivono le modalità di “costruzione”) circa 100.000 proteine. Questa straordinaria opportunità tecnologica ha stimolato ulteriori approfondimenti, estendendo il campo d’indagine alla possibilità di rilevare le connessioni tra il nostro assetto genomico e le basi molecolari dei vari processi patologici.
Questa nuova scienza quindi, la genomica, riguarda l’analisi del DNA, del genoma, e in modo particolare le variazioni che differenziano e rendono unico ognuno DNA possono essere riferite alla sequenza a livello dei nucleotidi (sostituzioni, piccole cancellature, inserzioni o duplicazioni).
La genomica cerca dunque di correlare queste variazioni con tutte le possibili manifestazioni cliniche, e questo attraverso un’enorme mole di studi di tipo associativo che sono in costante espansione e che sono volte non già a diagnosticare una malattia quanto a valutare la predisposizione di ognuno di noi di esserne maggiormente a rischio o protetto, rispetto alla popolazione generale. Si tratta quindi dello studio di quelle del tutto individuali e specifiche variazioni presenti nelle regioni «codificanti» dei nostri geni.
Ogni nucleo contiene due copie complete del genoma, una proveniente dal padre e l’altra dalla madre. Il nostro genoma si duplica durante ogni divisione cellulare venendo trasferito a cellule figlie che si svilupperanno seguendo quel preciso percorso, «scritto» sulla carta d’identità dei geni. Su questa carta d’identità è quindi scritta la sequenza del DNA che consiste, come un codice a barre, di una successione di piccoli blocchi (i nucleotidi), ognuno dei quali composto dalle quattro possibili basi (adenina, guanina, citosina e timina). È su questa infinita possibilità di combinazioni, enormemente maggiore di quelle di una slot machine, che si basa il fascino della nostra irripetibile unicità (con la sola eccezione dei gemelli monozigoti, ossia generati entro uno stesso ovulo).
Abbiamo appreso che dall’uomo paleolitico ai giorni nostri, per il 99,9%, abbiamo mantenuto lo stesso genoma. Ma è proprio a questo apparentemente irrisorio 0,1% che dobbiamo tutte le nostre variazioni ereditarie, cioè i nostri polimorfismi. E che a seguito delle interazioni con l’esterno (nutrizione, ambiente, stile di vita, attività fisica ecc.) determina risposte diverse in ciascuno di noi.
Questi polimorfismi possono essere di tipo qualitativo e riguardare la sequenza delle basi (SNP: single nucleotide polymorphism, ossia polimorfismo di singole basi, pronuncia “snip”) o di tipo quantitativo (riguardando il numero di copie delle basi).
Gli SNP si presentano ogni circa 1000 nucleotidi, quindi ogni gene contiene migliaia di nucleotidi, ossia potenziali target molecolari in base alle molteplici differenze polimorfiche che variano da individuo a individuo. Si ritiene che il nostro genoma contenga oltre 3 milioni di SNP.
Negli ultimi anni il laboratorio Locorotondo di Palermo ha messo a punto un avanzato sistema tecnologico in grado di effettuare queste analisi genomiche da un campione biologico non invasivo (tramite un semplice spazzolato buccale), saltando così il costoso e complesso passaggio dell’estrazione del DNA. Da questo campione si può oggi arrivare a testare decine, centinaia, migliaia di SNP contemporaneamente, in tempi brevi. Gli SNP, come tali, non rappresentano né diagnosticano una malattia ma grazie a loro è possibile pervenire a utili informazioni circa il «peso» di rischio predittivo di sviluppare una malattia non già spontaneamente, quanto se a questa eventuale “predisposizione” si associno poi nel corso degli anni errati comportamenti, tra cui certo sia la sedentarietà ma anche una non ben personalizzata attività fisica.
Grazie a questa nuova visione, cominciamo dunque a comprendere come, a parità di esposizione a un’alimentazione errata o a una tipologia di attività fisica specifica (aerobica, anaerobica, finalizzata alla potenza, etc.) vengano a determinarsi tra persone diverse, quadri clinici diversi per quanto riguarda i miglioramenti attesi a livello fisico, la necessità di variare/ridurre incrementare un dato percorso di attività fisica e quindi, per esempio, anche di prevenire l’esposizione a danni muscolari o tendinei.
Ma perché il Personal Trainer avanzato può in questo complesso ambito scientifico giocare un ruolo tutt’altro che trascurabile? Perché alla più comune utenza del medico che è costituita da persone che abbiano una patologia o un disturbo, il Personal Trainer si raffronta ad un vasto pubblico che sano o foss’anche con qualche piccola patologia trattata medicamente, perviene in palestra per seguire una del tutto personale “istanza, ricerca di salute”, che essa sia un miglioramento della propria silhouette, un calo ponderale, un incremento della muscolatura, ma anche una maggiore flessibilità e, più globalmente, per sentirsi “più attivo e tonico visto che molti medici e certamente tutti i media insistono (ahimè spesso solo per promuovere i loro prodotti commerciali!) a “mantenersi in forma”.
Va da sé che poi questo vasto richiamo al benessere viene spesso declinato in modo del tutto arbitrario che va da diete sbilanciate e spesso bizzarre (una ad ogni estate che si approssima), ad integratori e quindi regna frequentemente un “fai da te” del cliente che definisce una propria ricetta del benessere ma che, quando perviene al Personal Trainer, in un certo qual senso, gli si affida. Ed ecco che quindi il Personal Trainer, per propria capacità
e per assenza di altri veri e disinteressati “tutori del benessere”, ha la grande opportunità di diventare una sentinella-guida di un piano strategico di medicina preventiva, senza tuttavia sovrapporsi ad atti medici-terapeutici che ad altri attori (medico, farmacista) saranno demandati e dai quali dovrebbe idealmente riceverne sinergie.
Ovviamente anche i “test genetici” non sono immuni dall’essere spesso diventati “prodotti commerciali” immessi sul mercato con una enorme gamma di alti e bassi qualitativi. Soprattutto quando siano stati studiati a tavolino, ridotti a copia/incolla di altri, non aggiornati né, peggio, aggiornabili, quando spesso studi scientifici disegnati su limitate casistiche e/o su sportivi agonisti (che non è il target del “benessere” ma della performance) o su etnie diverse dalla nostra e non calibrati sulla popolazione generale. La bontà quindi di un test genetico che il Personal Trainer avanzato deve ricercare risiede nel fatto che:
– il laboratorio che li esegue abbia una specifica sezione dedicata alla genomica con costose apparecchiature proprie (mai test fatti in service altrove!);
– i motivi di cui sopra, il test genetico possa, in virtù di novità scientifiche migliorative di indagine, rapidamente adeguarsi modificando il pannel degli esami;
– guardi a predisposizioni ben studiate su ampie casistiche pubblicate in soggetti sani, di parametri quali la resistenza, la potenza, il rischio di danno muscolare e di danno tendineo;
– guardi a predisposizioni verso problematiche comuni nella medicina cui l’attività fisica “ragionata” e la dieta e supplementazione di integratori calibrata possa apportare sostanziale giovamento (rischio o protezione verso l’osteoporosi);
– guardi a predisposizioni verso circostanze malnutrizionali diffuse ma ancora scarsamente enfatizzate (ad esempio celiachia, con tutto il corredo di facile affaticabilità, astenia muscolare, carenza di acido folico, di vitamina B12, di ferro ,etc.) o di mal digestione fin troppo enfatizzate (es. ad intolleranza al lattosio il che spesso porta i cliente a restrizioni dietetiche, test di intolleranza, a volte dubbi, etc.). Assolta questa fondamentale funzione orientativa con il test genetico, il Personal Trainer avrà quindi un potente strumento operativo ed in ogni caso potendo interfacciarsi con la classe medica, quando necessario o richiesto dal cliente o, come maggiore approfondimento, avviandolo ad un centro medico dedicato alla genomica preventiva che poi relazioni al Personal Trainer circa ulteriori aspetti clinici anomali che possa trovare. Cosicchè ogni “attore” mantenga la propria indipendenza e professionalità entro una vicendevolmente utile sinergia ai fini della ottimizzazione della salute del cliente.
Autore: Francesco Marotta
Tags: dieta, DNA, genetica, integratori, personal trainer