Oggi la nostra classe politica ha una concezione anacronistica ed ancestrale sul ruolo del fitness e delle palestre, ritiene, a torto, che siano luoghi dove si effettua attività fisica per mantenere le “performances” nonché di svago e di divertimento. Non ha, quindi, percepito la loro vera finalità che è quella della prevenzione a beneficio della salute.
E difatti l’effettiva, importante e primaria funzione sociale che svolgono è quella di tenere lontano i malanni più gravi ed invasivi che potrebbero colpire i frequentatori: è un dato scientificamente acquisito a livello internazionale e mondiale nonché nell’intera nostra società che l’attività fisica e motoria in genere praticata nelle palestre e nel fitness sotto la guida di persone esperte riduce la pressione arteriosa, controlla il livello di glicemia, modula positivamente il colesterolo nel sangue, aiuta a prevenire le malattie metaboliche, cardiovascolari e neoplastiche, le artrosi e riduce il tessuto adiposo in eccesso.
Inoltre riduce i sintomi di stress, depressione da solitudine, con benefici evidenti per l’apparato muscolare e scheletrico. Non è ammissibile che in una società progredita come quella italiana in pieno secolo 21, caratterizzato dalla globalizzazione e della piena espansione dei GAFA (Google, Apple, Facebook ed Amazon) i nostri governanti ancora oggi non abbiano avvertito la necessità di riconoscere alle palestre ed alle strutture fitness, questo nuovo ruolo oggi da esse assunto.
Non hanno neppure preso in considerazione che tali strutture sono frequentate oggi in Italia da ben 12 milioni di persone di ogni età e ceto sociale che ogni giorno aumentano sempre di più.
Tale nuovi compiti rendono sia il fitness che la palestra assimilabili alle strutture sanitarie. Ovviamente si parla di assimilazione, e non certo di equiparazione tenuto conto della differenza che fra i due settori soprattutto con riferimento alla differente qualificazione del personale che in esse opera.
Il che, comunque, non comporta una diminuzione dell’importanza delle palestre e di centri fitness nella difesa della salute e quindi ha suscitato non poco stupore nella categoria che nel DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) dell’ottobre 2020 sia stata disposta la chiusura totale se pur temporanea.
A nostro modesto avviso non sono stati valutati nel modo dovuto le funzioni da loro svolte né tantomeno la comprovata circostanza che i numerosissimi frequentatori comprovano i positivi effetti sulla salute.
In buona sostanza è stata ritenuta la loro non indispensabilità al pari dei locali di svago ed al divertimento. Senza peraltro la sussistenza di elementi di rilievo dai quali risultasse con certezza che in esse si fossero verificati focolai di contagio da covid 19.
Sarebbe stato molto più confacente, invece,, tenerle aperte con l’ingresso dei frequentatori contingentato con l’obbligo del rigoroso rispetto (sanzionabile con l’espulsione) delle norme di distanziamento sociale, dell’uso della mascherina e del non assembramento.
Cosa fare per porre riparo a questa situazione?
Per riparare a tutto ciò e superare lo stato di stagnazione esistente sarebbe necessario sviluppare una strategia che porti ad una nuova regolamentazione del funzionamento di tali strutture modulata, però, sull’importante ruolo oggi da loro assunto.
Il che si può realizzare solo se i nostri governanti imboccheranno questa nuova strada anche in un periodo come questo di una grave pandemia in atto.
Da non sottovalutare il positivo effetto che ciò avrebbe anche sulla finanza pubblica che vedrebbe ridotta la spesa sanitaria quale effetto conseguente al decremento del numero delle persone che si ammalano. In definitiva il legislatore dovrebbe nello stesso tempo impegnarsi a conferire una veste giuridica agli istruttori ed ai personal trainer.
La loro professione dovrebbe essere riconosciuta per quella che effettivamente è cioè un’attività, che pur non essendo equiparabile ad una prestazione sanitaria, sortisce effetti similari prevenendo le malattie più gravi.
Si potrebbe pensare ad un diploma che (al pari di quanto avviene per le professioni sanitarie non mediche) venga rilasciato sia da strutture pubbliche che private dopo la frequentazione di un corso di studi di breve durata con il superamento di un esame finale.
Spetta al personale delle strutture e non ai medici stabilire il tipo di esercizio e di attività fisica e motoria da far effettuare ai frequentatori.
Nel nostro Paese oggi avviene sovente che i medici nei casi di sovrappeso o obesità facciano ricorso non solo alla prescrizione di farmaci e di altre terapie ma anche alla richiesta di frequentazione della palestra o del centro fitness. Basti pensare che in Italia secondo un indagine dell’ lSTAT dello scorso anno il sovrappeso e l’obesità (dovuti alla sedentarietà che è il vero killer dell’essere umano) nei bambini e negli adulti, colpiscono quasi il 45% della popolazione avendo raggiunto la quota di 35 milioni.
Deve ritenersi comunque senza dubbio alcuno che non debbano essere i medici che, ai fini preventivi, prescrivano ai loro pazienti l’attività fisica, ad indicare quale sia il tipo di esercizio praticare, ma che debba farlo il personale della palestra o del centro fitness il quale ovviamente deve essere “competente“, ed assume giuridicamente ogni responsabilità sulla sicurezza e quindi in relazione agli eventi lesivi che si possono verificare nel corso della attività fisica.
Mai come oggi sono sempre attuali le affermazioni del grande fisiologo del secolo scorso Rodolfo Margaria secondo cui “l’attività fisica è come un farmaco e deve essere somministrata da una persona competente“.
Due sono le considerazioni che si possono trarre da queste parole che sintetizzano il pensiero del grande medico sulla portata dell’attività fisica nel tessuto sociale.
Prima. La palestra e il centro fitness sono del tutto assimilabili ad una struttura sanitaria, tenuto conto che essendo “l’attività fisica un farmaco” debba dedursi la conseguente necessità che la sua somministrazione debba essere effettuata da personale fornito di adeguata preparazione professionale e quindi “competente”.
Seconda. La competenza oggi non deriva dal possesso di una qualificazione professionale riconosciuta dallo Stato, che al pari delle 22 attività sanitarie non mediche si consegua dopo un regolare corso di formazione. Ed allora quali debbano essere i criteri ai quali ricorrere per poter dire che il gestore o il personal trainer possa qualificarsi competente? Stante la carenza di una normativa “ad hoc” un persona potrà dirsi “competente” se abbia acquisito le capacità indispensabili per poter porre al riparo da eventuali rischi in piena sicurezza i frequentatori delle strutture.
La competenza, quindi, si raggiunge oggi sia con la pratica sia attraverso la frequentazione di corsi presso istituti privati di provata serietà che a fine corso rilasciano un attestato a quei soggetti meritevoli che abbiano superato la prova d’esame.
Va, inoltre ricordato che l’istruttore sarà competente non solo a stabilire il tipo di esercizio da far effettuare all’allievo –persona sana– ma il tipo di alimentazione al quale dovrà attenersi.
La responsabilità penale e civile, poi, degli istruttori per gli incidenti occorsi ai frequentatori sarà valutata sottoponendo al vaglio il contenuto delle sue direttive onde verificare se sia competente o meno.
Prospettive per il futuro
I titolari di centri fitness e delle palestre sperano di uscire al più presto da questa incertezza che danneggia non solo loro ma l’intera società.
Queste carenze mal si conciliano con le puntuali regole poste dalla Costituzione a difesa della salute del cittadino e delle sue libertà primarie. Il giorno in cui tali nuove norme vedranno la luce la nostra civiltà giuridica, che vanta tradizioni millenarie, avrà fatto un grande passo in avanti con vantaggio della salute dell’intera collettività.
a cura di Alfonso Marra – Magistrato
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Autore: Alfonso Marra
Tags: attività fisica, centri fitness, fitness, palestre, prevenzione