SEMBRA SCONTATO E BANALE MA MOLTI ASPETTI SONO SCONOSCIUTI O IMPROVVISATI. FACCIAMO CHIAREZZA ALLA LUCE DI DATI SCIENTIFICI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLO STRETCHING.
La MOBILITA’ ARTICOLARE è una qualità composita che si pone a livello intermedio tra le capacità organico-condizionali e le capacità coordinative, una sorta di capacità “strutturale” che dipende da fattori intrinseci ed estrinseci dell’organismo.
Definita anche ARTICOLARITA’ o flessibilità articolare o estensibilità articolare si riferisce al grado di ampiezza del movimento che può effettuarsi a livello di una articolazione
(ROM: Range of Motion). Che sia una qualità composta appare chiaro dalle innumerevoli definizioni che si trovano in letteratura: MOBILITA’ COMPOSTA come somma della mobilità articolare (dovuta a caratteristiche strutturali prettamente articolari) e della flessibilità muscolo-tendinea (capacità di estensibilità di muscoli e tendini propri dell’articolazione) (Gollin M. 2014).
La MOBILITA’ ARTICOLARE può essere passiva, attiva, anatomica (Schnabel G. et al. 1998). Può anche essere statica o dinamica. Il ROM di mobilità passiva è superiore di circa il 10-15% rispetto a quello in mobilità attiva. La differenza tra mobilità ATTIVA e mobilità PASSIVA è chiamata “riserva di movimento” (Frey 1975, in Weineck 2001).
La mobilità articolare permette un miglioramento qualitativo e quantitativo dell’esecuzione del movimento influenzando positivamente i fattori della prestazione sia fisici (forza, rapidità, ecc.) sia coordinativi e tecnici (controllo motorio dei “fondamentali”, ecc.) nonché tutti i presupposti di apprendimento motorio. Permette inoltre la prevenzione dei traumi e delle lesioni in genere come anche degli squilibri posturali da movimenti iterativi (Weineck J. 2009, riportato in Benis R. 2016). Per quanto riguarda lo STRETCHING le tecniche più diffuse ed utilizzate sul campo sono:
● Stretching statico
● Stretching dinamico
● Stretching con facilitazione propriocettiva neuromuscolare (PNF)
● Stretching globale attivo (SGA) chiamato a volte stretching in catena muscolare o “posturale”.
Lo STRETCHING STATICO, il più facile da effettuare e per questo il più utilizzato prima, durante e dopo il training, la fa ancora da padrone (?) nelle routine di riscaldamento degli atleti amatori per semplicità e praticità di esecuzione. Si passa da una tensione “facile”, della durata di 10-30 secondi per abituare il muscolo ad una successiva tensione “di sviluppo” che permette l’incremento della flessibilità (altri 10-30 secondi) per poi diminuire progressivamente e ritornare alla normalità evitando movimenti bruschi; ogni posizione statica viene ripetuta di norma 2-3 volte (B. Anderson 1994).
Alla luce delle evidenze scientifiche degli ultimi anni non sembra però l’approccio ideale prima di praticare attività che mettano in gioco elevate potenze muscolari (sprint, gesti esplosivi, contrazioni muscolari veloci in genere) (Behm D., Kibele A. 2007; Cometti G., Ongaro L., Alberti G. 2004; Rampinini E. 2011).
Trova miglior collocazione in sedute di allenamento dedicate essenzialmente al recupero, al miglioramento posturale e della mobilità/flessibilità articolare (allungamento/rilassamento di gruppi muscolari effettivamente rigidi e “retratti”: gli atleti mostrano spesso episodi localizzati di “ipertonia” e possono necessitare di un utilizzo mirato di esercizi di stretching, meglio se in sedute dedicate). Se utilizzato nella fase dedicata del riscaldamento meglio optare per posizioni mantenute per pochi secondi (5-6”) alternandole ad esercizi progressivi di attivazione dinamica come già ampiamente indicato.
Perché lo STRETCHING, in particolare nella forma “STATICA”, non è adatto nella fase di RISCALDAMENTO?
Sommariamente abbiamo visto come l’obiettivo primario IN QUESTA FASE sia l’elevazione della temperatura interna dei muscoli e come questa dipenda in prima istanza dalla vascolarizzazione che induciamo con l’alternarsi di contrazioni e rilassamenti (effetto “pompa” che favorisce una migliore circolazione). E’ l’alternanza di contrazioni concentriche contro resistenze di bassa/media entità il miglior modo per elevare la temperatura muscolare (Masterovoi L., Liegkaya Atletika (URSS) 1964).
Nell’effettuare un allungamento STATICO invece si sottopone la materia contrattile ad una tensione elevata con una conseguente interruzione dell’irrorazione sanguigna: viene meno l’effetto di vasodilatazione ricercato (Alter M. J. “Science of Flexibility”, Human Kinetics 1996) . E’ chiaro che nell’eseguire una “routine” di stretching si alternano esercizi di “messa in tensione” isometrica (contrazione eccentrica) a pause (rilassamento) ma questo tipo di lavoro muscolare non è l’ideale per stimolare la pompa muscolare e tutti gli eventi a cascata ad essa collegati, utili a “riscaldare”.
La pratica dell’allungamento muscolare STATILCO come forma elettiva di riscaldamento prima di un impegno sportivo non appare fisiologicamente corretta (Wieman K., Klee A., Leistungssport 2000). Per l’atleta amatore o lo sportivo in genere crolla un mito, un dogma, una certezza operativa che sembrava indiscutibile. Non sono da sottovalutare le tensioni imposte alla muscolatura da uno STRETCHING PASSIVO: forzando possono essere equivalenti a tensioni muscolari massimali (Wieman K., Klee A., Leistungssport 2000) con il rischio di microtraumi sulle strutture elastiche passive del sarcomero (CEP, in particolare la Titina) che possono pregiudicare l’ottimale svolgimento dell’attività successiva ed allungare i tempi di recupero/super-compensazione (DOMS protratti per più giorni rispetto al solo allenamento di forza non preceduto da stretching) (Wiemann K., Kamphovner M., 1995; Evans W. J., Cannon J. G. Exercise and sports science reviews, 1987; Friden J. Lieber R. L., Med. Sci. Sports. Exerc. 1992).
La metodologia di STRETCHING PNF è di derivazione fisioterapica-riabilitativa ed è una tecnica statico-dinamica per il “rilascio” del tono muscolare.
Declinato in diverse varianti esecutive (Alter M. J. 1988 e 1996) si basa sul fondamento fisiologico che dopo una contrazione isometrica (contrazione statica sub massimale) il muscolo interessato all’allungamento sia in grado di realizzare un miglior rilassamento con maggior aumento del ROM articolare (grazie all’inibizione dei recettori muscolo-tendinei del Golgi).
Questa metodica più complessa e più difficile da dosare che richiede esperienza sia nell’operatore sia nell’atleta, si è dimostrata più efficace delle altre nell’aumentare l’escursione muscolo articolare dei movimenti in particolare in soggetti rigidi e “strutturati”. La sua collocazione ideale sembra alla fine della seduta di allenamento mentre nella fase di riscaldamento deve essere utilizzata raramente ed in casi particolari sotto la supervisione di un trainer/fisioterapista esperto (AA. VV. NSCA 2010).
Per alcuni Autori le tecniche PNF (Contract-relax o CR e Contract-relax-agonist contraction o CRAC) sono da evitarsi in maniera più assoluta nel corso del riscaldamento (Cometti G. 2014). Questo perché determina un “effetto antalgico” (in realtà proprio di tutti i tipi di allungamento muscolare) aumentando la tolleranza allo “stiramento” del muscolo (stretchtolerance) (Shrier I. Clin. J Sport Med 1999; Magnusson S. P., Aargaard P. et al. Int. J. Spots Med 1998).
Le tecniche PNF (allungamento preceduto da una contrazione isometrica) risultano particolarmente efficaci per ottenere il documentato “assopimento” dei recettori del dolore a livello muscolo-articolare quindi inadatte nel riscaldamento atletico soprattutto in prospettiva della riduzione degli infortuni (Shrier I. Clin. J Sport Med 1999; Henricson A.S. et al. J Orthop Sports Phys Ther 1984; Taylor B.F. et al. J Orthop Sports Phys Ther 1995; Pope et al. 1998 e 2000).
Introdurre quindi questa metodica di allungamento nel corso del riscaldamento di sport che fanno riferimento a qualità come la velocità e l’elevazione non sembra essere indicato, mentre per discipline che esigono posizioni con ROM articolari estremi (ginnastica, danza, pattinaggio artistico) ha senso metodologico magari optando per altre tipologie di allungamento muscolare più confacenti ai gesti tecnici specifici.
Lo STRETCHING DINAMICO è una modalità di allungamento muscolare attiva e, come va molto di moda oggi, si può definire uno “stretching funzionale” (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016): perché utilizza gesti tipici dello sport che si andrà a praticare. Quindi gesti più o meno complessi sicuramente multi-articolari e ad ampia sinergia: non ha senso come allungamento del singolo e specifico distretto muscolare.
Consigliato nel riscaldamento di sport dove sono previsti movimenti ad alta velocità non va confuso con lo STRETCHING BALISTICO in quanto si utilizzano sì movimenti veloci ma sempre controllati evitando i movimenti di “rimbalzo” specificatamente richiesti nella metodica balistica.
I movimenti di stretching dinamico vanno iniziati a bassa velocità ed ampiezza ridotta aumentando progressivamente prima l’escursione ed in seguito la velocità di esecuzione, secondo le caratteristiche individuali e l’attività che si andrà a praticare nella fase centrale del training. Il vantaggio dello STRETCHING DINAMICO rispetto allo statico e al PNF sembra quello di non influenzare negativamente successive prestazioni di tipo esplosivo, anzi di migliorarle in particolar modo la corsa veloce e gli sprint.
Sembra avere effetti positivi sulla riduzione degli infortuni muscolari se ben collocato nel riscaldamento pre-gara (AA. VV. NSCA-NASM 2010).
Lo STRETCHING GLOBALE ATTIVO prevede il mantenimento per un tempo prolungato (da alcuni a molti minuti) di posture di allungamento coinvolgendo molti muscoli e articolazioni contemporaneamente (catene muscolari) (Souchard P.E. 1995 e AA. VV.).
Durante l’esecuzione assume rilevante importanza la corretta respirazione senza blocco diaframmatico e l’avvertenza di non assumere i cosiddetti “compensi”. Necessita di un incremento molto graduale della difficoltà/intensità delle posizioni e trova la sua naturale collocazione nei programmi di riabilitazione, rieducazione e riequilibrio posturale antalgico. In campo sportivo gli vengono dedicate sedute specifiche o la parte finale dell’allenamento dopo il defaticamento.
Appare chiaro da questo breve excursus che la FASE DI RISCALDAMENTO non debba essere né troppo intensa né troppo blanda ma soprattutto non casuale rispetto al singolo individuo, alla sua età, al suo livello atletico e al lavoro fisico che andrà a svolgere nell’immediato.
In tale fase si deve andare da GENERALE verso lo SPECIFICO con una logica di progressività sia nell’INTENSITA’ sia nella DIFFICOLTA’ tecnico-coordinativa (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016). In questa ottica e contemplando la PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI deve essere dato spazio alla MOBILITA’ ARTICOLARE (mobilizzazione attiva a bassa velocità prima, ad “alta velocità” poi; prima generale poi specifica: in questi ultimi anni un aspetto molte volte trascurato dai trainer ad appannaggio della resistenza, della forza e di altre forme prettamente “condizionali”).
Gli esercizi di mobilità vanno invece riposizionati con il ruolo che gli è proprio sia nel riscaldamento che nel defaticamento: la vera prevenzione degli infortuni muscoloscheletrici.
Va invece limitato o accuratamente dosato e posizionato nel riscaldamento lo STRETCHING di tipo STATICO.
IL RISCALDAMENTO rimane comunque basato sull’esperienza pratica dell’atleta o dell’allenatore, piuttosto che su studi scientifici e per questo è difficile verificare l’efficacia dei risultati nel mediolungo termine (Bishop D. 2003).
“Il più delle volte è “un’operazione che si svolge più per motivazioni psicologiche che per giustificazioni fisiologiche” (C. Bosco 1997). Basta “osservare” sul campo ed agire con logica su basi scientifiche (a metà tra arte e conoscenza…): ci sono delle “esigenze imposte”? (la gara che si andrà a fare). Servono “adattamenti specifici” anche nella fase di riscaldamento (Marsha J. 2003).
Perché “riscaldarsi” con un esercizio aerobico a bassa intensità per una sessione di allenamento con i pesi ? Sarebbe sicuramente più vantaggioso farlo con modelli fisiologici simili a quello che si andrà a fare. Perché fare riscaldamento con movimenti “in linea” per una partita di basket o un incontro sul ring? Sicuramente sarebbero più adatti movimenti di corsa/allungo/ sprint multilaterali. Allenare realmente sul campo rimane un processo metodologico applicativo a metà tra arte, intuizione, esperienza e conoscenza.
CONCLUSIONI
Il posizionamento degli esercizi di STRETCHING nella fase di riscaldamento dovrà essere oculata, sensata e non massiccia e prolungata: alcuni Autori indicano anche un aspetto “de-coordinativo” dello stretching ovvero un peggioramento della coordinazione agonisti-antagonisti nello svolgimento della gestualità sportiva (in Cometti G. 2004). Esagerare con l’allungamento muscolare in particolar modo passivo (ed in particolare su certi distretti muscolari) sembra peggiorare il lato coordinativo: ad esempio Ischio-tibiali (Ischiocrurali o Hamstringsß nella definizione anglosassone) troppo estensibili non sarebbero più “pronti” ad un bloccaggio improvviso della coscia durante la corsa.
Da non dimenticare il possibile fenomeno del “creeping” indicato da alcuni Autori per spiegare l’effetto negativo dello stretching sulla prestazione di forza/potenza: se l’allungamento è ampio e prolungato comporta una riorganizzazione non fisiologica delle fibre tendinee (si allineano con quelle muscolari mentre in condizioni di normalità hanno un orientamento obliquo).
Si guadagna in ROM articolare ma diminuisce la capacità di immagazzinamento di energia elastica: fenomeno reversibile ma con un tempo di latenza abbastanza importante per cui risulta
scorretto indurre tale fenomeno a livello del tendine prima di performance incentrate sulla velocità, l’elevazione e simili (Ullrich K., Gollhofer A., Sportmedizin 1994; Wydra G. “Stretching” 2001).
Se circoscriviamo le indicazioni che riguardano l’allungamento muscolare nella fase di riscaldamento, possiamo sottolineare:
● A livello degli arti inferiori è importante non agire sul QUADRICIPITE FEMORALE e sul TRICIPITE DELLA SURA (“Polpaccio”: Gastrocnemio + Soleo + Plantare Gracile) allo stesso modo degli ISCHIO-CRURALI (Ischio-Tibiali), ovvero diversificare il lavoro sugli ESTENSORI da quello utile per i FLESSORI della coscia. I primi (quadricipite, tricipite surale) non devono essere allungati per non diminuire la loro efficacia nei successivi impegni di salto, sprint, ecc. (“propulsione”) mentre i secondi (Ischio-tibiali: bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso) possono essere moderatamente “allungati” a ROM non eccessivo con poche ripetizioni di pochi secondi ciascuna.
● Evitare tutte le tecniche di allungamento PNF.
● In accompagnamento ad un volume molto limitato di esercizi di allungamento muscolare alternare veri esercizi di vascolarizzazione: contrazioni dinamiche, non isometriche, contro blanda/ moderata resistenza (contrazione-rilassamento).
● Come già più volte riportato in queste pagine la personalizzazione e l‘individualizzazione del lavoro deve essere una condizione imprescindibile da perseguire anche in questa fase, troppe volte ancora generalizzata e uniformata su canoni che hanno poco di scientifico. In generale uno due allungamenti per distretto muscolare sono più che sufficienti: qualche atleta ha bisogno di più esercizi, qualcun altro di nessun esercizio di stretching.
● Con esercizi dinamici e progressivi che richiedono la naturale alternanza di contrazione tra muscoli agonisti ed antagonisti si realizza un sufficiente ed equilibrato allungamento della muscolatura interessata.
● Movimenti naturali come circonduzioni, slanci e simili sono più appropriati (più “funzionali” come oggi va di moda dire…) per “preparare” articolazioni e muscoli a svolgere successivamente movimenti più ampi, repentini e in carico.
● Optare eventualmente per lo stretching di tipo DINAMICO, non balistico.
A tutt’oggi vi è un “abuso” di stretching nella fase di riscaldamento prima dell’allenamento vero e proprio o della competizione, soprattutto a livello dilettantistico-amatoriale o negli sport dove allenatori “tradizionalisti” sono poco inclini a tradurre nella pratica sul campo le indicazioni della ricerca scientifica. In particolare i limiti/svantaggi dello stretching effettuato prima di lavori specifici sono riassunti di seguito.
● Prima delle SEDUTE DI FORZA
Risulta significativa la diminuzione della FORZA MASSIMALE, ad es. nel test 1RM su leg-press inclinata e significativo anche il decremento della massima forza di contrazione volontaria in modo direttamente proporzionale alla durata dello stretching. Si abbassano temporaneamente i livelli di forza statica (per più di un’ora) in particolar modo se la muscolatura viene sottoposta a stretching passivo; anche gli esercizi di stretching statico con mantenimento della posizione per 15-30” diminuiscono l’espressione della forza. (Kokkonen et al. 1998 in Cometti G. et al. 2004; Winchester J. B. et al. 2007; Staley C. S. et al. 1991; Fowles J. R. et al. 2000; Behm D. G. et al. 2004 in Nelson & Bandy 2005; Bacurau R. F. et al. 2009; Brandenburg J. P. et al. 2006; Ogura J. et al. 2007).
Se inserito prima di un allenamento incentrato sulla FORZA ESPLOSIVA si ha una diminuzione in prove di salto massimale (4%, meno per altri Autori) e in generale un peggioramento nelle performance di salto, in particolare nei salti verticali (Henning & Podzielny 1994 e Knudson et al. 2001 in Cometti G. et al. 2004 e G. P. Alberti et al. 2007). Assodata in molti altri lavori l’influenza negativa dell’allungamento muscolare sul salto verticale con registrazione di minori altezze raggiunte dopo aver effettuato stretching:
le riduzione si attestano tra il 2,6 % e il 3,1%. Le prestazioni ridotte permangono per circa 15 minuti (Shrier I. 2004 in Cometti G. et al. 2004; Baum et al. 1990 e Wiemeier 2002 e 2003 in Turbanski S. 2005; Vetter R. E. 2007; Hough P. A. et al. 2009; Bradley et al. 2007). Anche nel campo della FORZA REATTIVA (quella caratterizzata da contrazioni SSC: stretch-shortening-cycle (Komi e Kollhorer, 1997), tipicamente “pliometriche” per lo sviluppo della forza reattivo-esplosivo-balistica) si hanno peggioramenti prestativi: diminuzione nel “drop jump” per 30’, riduzione dell’altezza di salto e aumento del contatto al suolo.
La riduzione della prestazione di salto, rilevata attraverso “l’indice di reattività” si attesta tra l’8% e il 10 %. La riduzione della ‘stiffness muscolo-tendinea’ avviene immediatamente dopo l’esercizio di allungamento muscolare e sembra la perturbazione responsabile del peggioramento dei parametri “reattivi” a livello muscolare (Gullich 1996 e 2000 in. Wiemann K. & Klee A. 2000; Kunnemayer & Schmidtbleicher 1997 in Turbanski S. 2005; Begert & Hillebrecht 2003 in Turbanski S. 2005; Young & Elliot 2001 in Turbanski S. 2005; Ryan E. D. et al. 2007).
In un test di FORZA RESISTENTE effettuare prima lo stretching determina una significativa riduzione delle ripetizioni (Kokkonen et al. In Cometti G. et al. 2004). Al test ISOCINETICO, se preceduto da allungamento muscolare (esercizi di stretching statico di 5-8 minuti), si ha diminuzione del picco di forza (- 4%) a diverse velocità angolari. Si ha anche riduzione della forza massima, della potenza media e dell’ampiezza del segnale EMG nei muscoli degli arti inferiori (quadricipite) durante contrazioni concentriche isocinetiche (leg extension) (Cramer J. T. et al. 2002; Zakas A. et al. 2006; Marek S. M. 2005).
● Prima delle SEDUTE DI VELOCITA’
Se la seduta di allenamento dedicata allo sviluppo della VELOCITA’ è preceduta da esercizi di stretching nella fase di riscaldamento si ha un peggioramento negli sprint sui 40 m (0,14 sec in più) ed anche un effetto negativo a breve termine negli sprint sui 20 m (Wiemann K. , Klee A. 2000; Nelson A. G. et al. 2005). Si è registrato un peggioramento significativo anche in rugbisti (Fletcher I. M. & Annes M. 2004). I peggioramenti riguardano sia l’accelerazione sia il picco di velocità, con aumento del tempo di sprint sui 20, 30 e 40 m (Sayers A. L. et al. 2008; Winchester J. B. et al. 2008).
● Prima delle SEDUTE DI RESISTENZA (ENDURANCE)
Lo stretching non influenza l’economia di corsa a velocità sub-massimali (Hayes P. R. & Walker A. 2007). Nelle discipline sportive dove è richiesto un “lento” ciclo di stiramento accorciamento a livello muscolare (SSC) come jogging e ciclismo non esistono dati scientifici che attestino effetti positivi dell’allungamento muscolare svolto prima dell’allenamento/gara su performance, prevenzione degli infortuni e recupero (Gremion G. 2005). Uno studio ha rilevato che può diminuire la prestazione di endurance aumentando il costo energetico della corsa (Wilson J. M. et al. 2010).
● Prima delle SEDUTE TENICO-COORDINATIVE
Prolungati e ripetuti allungamenti muscolari che instaurano miglioramenti stabili della flessibilità muscolare generano, a livello del SNC, informazioni “anomale” verso l’effettore muscolare che possono causare nel caso di successive esercitazioni tecnico-coordinative-atletiche delle risposte involontarie che ostacolano e perturbano la perfetta sincronizzazione di contrazione-rilassamento (Capanna R. 2000). Secondo altri Autori lo stretching in questa fase causa un decremento significativo dei valori di equilibrio (Behm D. G. et al. 2004).
● Durante la SEDUTA DI ALLENAMENTO vero e proprio
Durante sedute di allenamento intenso l’affaticamento può abbassare la sensibilità dei propriocettori muscolari (Fusi Neuromuscolari) e questo, in occasione di concomitanti allungamenti muscolari, può determinare un rischio di sovra-stiramento delle componenti muscolari passive oltre i limiti fisiologici (Harre D. 1977; Weineck J. 2001). Egger ha messo a punto una particolare esercitazione in cui vengono sviluppate contemporaneamente FORZA e FLESSIBILITA’ tramite l’alternanza di stretching ed esercizi con sovraccarico (Egger J. P. 1994). Alcuni aspetti sono tutt’ora controversi e necessitano di ulteriori approfondimenti da parte della ricerca scientifica.
Autori affermano che è importante alternare esercizi di stretching ed esercizi che hanno altri obiettivi, in particolare la forza, perché permettono di aumentarne l’efficacia (Platonov V. 1996) mentre altri ribadiscono che esercizi di stretching statico sugli arti inferiori nel corso del recupero tra gli sforzi possono compromettere la capacità di ripetere sprint alla massima potenzialità (Beckett J. R. et al. 2009). Alcune evidenze ancora da confermare ascrivono ad esercizi di stretching svolti durante un allenamento con sovraccarichi (nelle pause tra una serie e l’altra di esercizi di muscolazione) un ruolo di stimolazione della crescita per aumento della IGF-1 circolante (Am J Physiol. 1995 Feb;268(2 Pt1):E288-97).
● Al termine della SEDUTA DI ALLENAMENTO
Sicuramente agli esercizi di stretching è riconosciuta la capacità di rilassamento psico-fisico: abbassando il “tono muscolare” migliora l’estensibilità (estendibilità) o flessibilità muscolare e quindi la mobilità muscolo-articolare (Knebel K. P. et al. 1993; Anderson B. 1994; Cerullo C. 1997; Balaskas A. & Stirk J. L. 1998; Weineck J. 1998). Rimangono forti dubbi che migliori la capacità di rigenerazione muscolare dopo il carico: analisi bibliografiche approfondite (Herbert & Gabriel 2002 in Cometti G. et al. 2004) evidenziano che non risulta beneficio per quanto riguarda la riduzione del dolore muscolare ad insorgenza tardiva (D.O.M.S.) o di prevenzione dei danni muscolari effettuando protocolli di stretching al termine dell’impegno fisico (allenamento o gara).
In particolare sui D.O.M.S. (Delayed Onset Muscle Soreness) “l’inutilità” dello stretching “defaticante” finale sembra confermata in più lavori (Buroker & Schwane 1989 e Wessel & Wan 1994 in Cometti G. et al. 2004). Per un migliore RECUPERO ATTIVO molti concordano sull’eseguire uno STRETCHING SUB-MASSIMALE con tempi di allungamento/ rilasciamento brevi (da 5”/5” a 10”/10”) attivando così un positivo “effetto spugna” in cui lo stiramento muscolare comprime sì i capillari ostacolando momentaneamente il flusso sanguigno locale ma il quasi immediato rilasciamento consente un maggior afflusso conseguente all’apertura dei capillari (Mosca U. 1994, Cerullo C. 1997).
Tempistiche brevi di “messa in tensione” non massimale sembrerebbero quindi permesse nello STRETCHING “defaticante”.
Se la scelta al termine dell’allenamento è anche quella di perseguire un aumento della FLESSIBILITA’ muscolare si possono sicuramente effettuare esercitazioni di stretching, fermo restando che tali sollecitazioni in eccentrica/ isometrica determinano un lavoro “muscolarmente impegnativo” che va a sommarsi a quello svolto nel training, con tutte le implicazioni ampiamente illustrate.
Ribadiamo come allungamenti muscolari “massimali” siano ottimali per lo sviluppo della FLESSIBILITA’ ma questi siano da sconsigliare prima e durante la maggior parte delle sedute di allenamento volte al migliora meno di una qualsivoglia capacità organico-condizionale. Ottimale sarebbe collocare le routine di stretching in apposite sedute dedicate; in mancanza di tempo meglio al termine della seduta di allenamento… senza fretta.
Il trainer/coach deve fare proprio oltre la specificità individuale del lavoro da proporre, il concetto di “MODULAZIONE DELLA TENSIONE NELLO STRETCHING”: nella FASE DI RISCALDAMENTO quella quantità di esercizi minima per assecondare ma non sconvolgere le abitudini e le peculiarità fisiologiche dell’atleta; nella FASE DI DEFATICAMENTO brevi/brevissimi tempi di messa in tensione per pochi esercizi, che agevolino veramente il recupero, alternati a blandi esercizi di recupero attivo dinamico anche a gambe sollevate per facilitare il ritorno venoso.
Infine, siamo sicuri che un lungo riscaldamento muscolare sia sempre utile? “Generalmente gli equilibri in natura sono perfetti: gli animali allo stato brado non hanno necessità di riscaldarsi prima di cacciare le prede o difendere il territorio. Al limite una brevissima attivazione mobilizzante”.
Ciò che caratterizza l’essere umano è il movimento, non l’immobilità. “Muovere le cose è tutto ciò che il genere umano può fare;… a tal fine l’unico esecutore è il muscolo, sia per bisbigliare una sillaba che per abbattere una foresta” (Charles Sherrington, 1924).
a cura di Stefano Zambelli – MFS M.Sc. Direttore Tecnico ISSA Europe.
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