La popolazione umana occidentale si avvia a essere una popolazione sempre più anziana. Il motivo demografico del fenomeno dell’invecchiamento su larga scala è la risultante di diversi fattori. Essi influenzano la piramide che descrive per ogni popolazione le percentuali di classi di età che la compongono. È molto interessante approfondire anche il significato evolutivo dell’invecchiamento che aiuta a riflettere sulla possibilità di invecchiare bene. Partiamo dall’aspetto demografico per poi addentrarsi in quello prettamente biologico.
I 2 fattori che determinano l’invecchiamento della popolazione
I fattori che spingono una popolazione verso una maggiore presenza di classi di età definibili come anziane (percentuale di popolazione di età maggiore di 70 anni) sono essenzialmente due. Una riduzione del tasso di natalità della popolazione, associata a una maggiore sopravvivenza degli individui che la compongono.
Il primo fattore da solo non sarebbe strettamente connesso a un invecchiamento della popolazione, ma solo a una sua riduzione. Se il tasso di natalità di una popolazione si abbassa ma ciò non è associato a una maggior sopravvivenza di tutte le fasce di età, il risultato è un calo demografico della popolazione, non il suo invecchiamento. Nella specie umana però il calo è spesso abbinato a una maggiore sopravvivenza e a un miglioramento delle condizioni di vita. Popolazioni in cui la sopravvivenza dei bambini è migliore grazie ai progressi medico-tecnologici e sociali e la longevità potenziale degli anziani si allunga tendono a produrre meno figli.
Inoltre, in virtù dell’aumento della scolarizzazione delle donne, si ha minor pressione su di esse a generare numerosi figli che svolgano il compito di prendersi cura dei genitori una volta anziani.
È possibile invecchiare bene?
La qualità del processo di senescenza è molto disomogenea in Occidente. Molti Stati, Italia in testa, presentano grosse criticità nelle condizioni medie della popolazione anziana, con vaste fasce di anziani con patologie croniche e una generalizzata medicalizzazione delle fasce senior.
In una società avviata in questa direzione resta quindi aperto un interrogativo: è possibile invecchiare “bene”? E ancora: invecchiare in modo sano, mantenendo livelli accettabili di autonomia e salute è qualcosa di previsto dall’evoluzione? Purtroppo la risposta è “NO”.
Il significato evolutivo dell’invecchiamento
I fenomeni connessi alla senescenza in tutte le specie in cui li si è studiati, hanno mostrato il volto più arcigno dell’evoluzione biologica.
In buona sostanza, il processo di selezione naturale determina la maggior parte dei caratteri fisici, fisiologici, biochimici e comportamentali di una popolazione. Tale processo agisce sui rapporti tra actina e miosina nelle fibre muscolari di una preda, come una lepre, e decide quale individuo sarà abbastanza veloce da sfuggire alla volpe. Determinerà cioè quale animale si riprodurrà e quale invece fallirà non lasciando discendenti. Allo stesso modo, la selezione naturale non è in grado di agire sui processi di invecchiamento. Vediamo perché.
Correlazione tra invecchiamento e selezione naturale
Gli organismi pluricellulari sono composti da due linee cellulari che convivono, i cui obiettivi e le cui finalità evolutive coincidono, ma solo parzialmente.
La popolazione più diffusa appartiene alla linea somatica. Tutte le cellule del nostro corpo, fatte salve le popolazioni cellulari che danno origine ai gameti, appartengono alla linea somatica. Le cellule somatiche sono mortali, per definizione possono andare incontro a mitosi per un numero stabilito di volte, mediamente da 40 a 60 cicli cellulari. Si sta facendo riferimento al cosiddetto Limite di Hayflick, cioè al numero di volte in cui una normale popolazione cellulare umana si divide prima che la divisione cellulare si arresti. Una volta esaurito il numero massimo di divisioni possibili, le cellule non riproducendosi più, iniziano un processo di senescenza. Quando quest’ultimo coinvolge un numero sufficiente di popolazioni cellulari determina il decadimento fisico dell’intero organismo e la sua morte.
La seconda linea cellulare è immortale: sono le cellule germinali, quelle che hanno il compito cruciale di trasferire il DNA, la nostra parte immortale, da una generazione alla successiva. A ben pensarci, anche ovuli e spermatozoi sono cellule labili, la loro vita è breve, anche se un ovulo fecondato genererà miliardi di nuove cellule, garantendosi così una parvenza di immortalità. Ma il DNA, no.
Il DNA letteralmente usa i corpi degli organismi pluricellulari per saltare da una generazione alla successiva, attraverso la riproduzione. Il nostro DNA abita il nostro corpo, e finché siamo sessualmente immaturi, gli obiettivi del DNA, e quelli delle cellule della linea somatica coincidono. Bisogna nutrirsi, crescere, sopravvivere, sconfiggere le malattie, e raggiungere la maturità prima possibile e nelle migliori condizioni possibili.
Alla maturità sessuale, ogni organismo pluricellulare ha due priorità: continuare a sopravvivere, sì, ma soprattutto riprodursi.
La brutalità del DNA
Esattamente a questo punto del ciclo vitale, le priorità della linea somatica e quelle della linea germinale divergono. Il DNA ha il solo scopo di produrre il maggior numero di copie di sé da far saltare nella generazione successiva. Alle cellule della linea somatica invece interessa solo continuare a sopravvivere. Se pensate che questo sia un contrasto poco comprensibile è perché la nostra specie si assume dei rischi connessi alla riproduzione. Rischi ridotti dato che i primati sono una specie longeva e che richiede un lungo periodo di tempo per portare all’indipendenza la propria prole. Per far passare il DNA da una generazione alla successiva, i piccoli umani devono essere curati per decenni, e i genitori devono sopravvivere a questo periodo in buona salute e con corpi abbastanza efficienti da accudire i propri esigentissimi cuccioli.
Se volete un esempio della brutalità con cui il DNA persegue i propri scopi a danno del resto delle cellule dell’organismo in cui è vissuto, potete pensare al maschio della mantide religiosa europea. Alla maturità sessuale la spinta alla riproduzione in questa specie è tale che il maschio, una volta individuata una femmina disponibile si lascia letteralmente uccidere e divorare pur di trasferire il proprio DNA alla nuova generazione. L’autoconservazione è messa a tacere. Da esperimenti controllati si è scoperto che il maschio potrebbe fecondare la compagna anche senza perdere la vita. Tuttavia, la decapitazione produce una emissione di sperma molto più abbondante. Inoltre, il tempo che la femmina impiega a divorare tutto il corpo del compagno permette ai genitali del maschio di tenere occupate la femmina. Ciò evita che altri maschi possano competere con il primo arrivato, garantendo così la paternità di tutta la nuova generazione. Questo è il livello di brutalità cui l’evoluzione lavora. E l’invecchiamento?
Che cos’è l’invecchiamento?
Che cos’è dunque davvero l’invecchiamento? L’invecchiamento è un processo progressivo e graduale di perdita di funzionalità di una macchina… da cui il vero proprietario è già sceso qualche decina di anni prima.
Una volta ottemperata la necessità riproduttiva, i nostri corpi sono letteralmente alla mercé del caso. Se la selezione naturale ha sempre premiato gli organismi che sono stati in grado di garantirsi sufficienti risorse per raggiungere la maturità sessuale, che sono stati in grado di difendersi da predatori e malattie, che sono stati in grado di costruire relazioni sociali efficaci e funzionali alla sopravvivenza, essa non può influenzare fenomeni che avvengono DOPO che l’organismo ha trasmesso i propri geni alla generazione successiva.
Per cui le nostre raffinatissime macchine biologiche, svolto il loro compito, cominciano a danneggiarsi e infine a rompersi. E ciascuna si guasta in modo differente. Qualcuno ha sentito parlare del fenomeno di mercato chiamato obsolescenza programmata? Riguarda ormai buona parte della tecnologia che ci circonda. Pensando a questo è possibile farsi una chiara idea di come questo funzioni nei viventi. La stampante, lo smartphone, la lavatrice, sono fatti per garantire la massima prestazione per un determinato periodo, correlato solitamente a esigenze di marketing. Dopo tale periodo sono fatti per rompersi, letteralmente. Non tutti si romperanno dopo un egual numero di anni, molto dipende dall’uso, dalla manutenzione, ma tutti si romperanno.
A che età l’invecchiamento accelera?
L’invecchiamento dei viventi segue le stesse dinamiche. Dopo i cinquant’anni nella nostra specie si assiste a un (più o meno) rapido declino delle capacità cognitive, di quelle metaboliche, di quelle prestative fi siche.
Per agire sulla qualità del tempo che ci rimane dobbiamo fare qualcosa di VERAMENTE INNATURALE.
Non la prima e nemmeno l’unica delle decisioni che prenderemo che ci allontana dal resto delle specie viventi, per aprirci nuovi orizzonti: invecchiare in modo SANO, garantire alle nostre macchine biologiche la maggior qualità di vita, oltre che la maggior quantità, anche e soprattutto dopo che l’evoluzione ha smesso di interessarsi di noi (come individui non più riproduttivi).
Ci sono componenti genetiche alla base della longevità, sulle quali non è possibile al momento (e forse nemmeno saggio) agire. Ma esistono anche numerose componenti ambientali, che possono fare la differenza tra un anziano che conserva dignità, autonomia e capacità di apprezzare la vita, e uno che attende solo la conclusione della propria esistenza. Gli studi sulle popolazioni di ottuagenari della Sardegna e di alcune isole giapponesi ci dicono che questo traguardo è possibile e alla nostra portata.
Simone Masin M. Sc, PhD, M.ES Università Bicocca di Milano
Bibliografia
Dawkins, Richard, 1941-. The Selfish Gene. Oxford ; New York :Oxford University Press, 1989.
Hayflick L, Moorhead PS, The serial cultivation of human diploid cell strains, in
Exp Cell Res, vol. 25, n. 3, 1961, pp. 585–621, DOI: 10.1016/0014-4827(61)90192-6, PMID 13905658
Shay, J., Wright, W. Hayflick, his limit and the cellular senescence. Nat Rev Mol Cell Biol 1, 72–76 (2000).