Siamo acidi, basici o neutri? I sistemi tampone dell’organismo che ci consentono di vivere.

Da diverso tempo si sente parlare di alcune proposte dietologiche che avrebbero come punto di forza la pretesa di agire su un parametro chimico che caratterizza gli ambienti extracellulari del nostro organismo: il pH.

 

Le cosiddette diete alcaline partono dal presupposto che l’alimentazione, e in seconda istanza gli stili di vita, possano influire sull’acidità o sulla basicità permanente dell’organismo.

Un altro assunto di tali discipline è che l’organismo debba essere mantenuto in una condizione di leggera alcalinità e in ogni caso lontano dalla acidità. Uno dei primi siti che si ottengono da una rapida ricerca sul web, ad esempio, dichiara: “Il nostro organismo è una macchina perfetta che per funzionare bene ha bisogno di equilibrio.

 

Per ottenerlo, secondo questa teoria, è bene agire sul pH del corpo, il più delle volte sovraccaricato da una acidità eccessiva, riportandolo ai giusti livelli (ovvero quelli leggermente alcalini), per evitare che le cellule sane possano degenerare o il sistema immunitario dia la possibilità a germi e batteri di proliferare”.

 

Quanto c’è di scientifico in tali affermazioni? E’ davvero possibile agire sull’acidità o sulla basicità dell’ambiente extracellulare del nostro organismo? Cominciamo dall’inizio.
Cos’è il pH? Il pH è anzitutto una convenzione. In buona sostanza è una scala di misura del grado di acidità o basicità di una soluzione acquosa. Già, ma come si definisce il concetto di “acido” o di “base” in chimica? Per definizione un acido è una qualsiasi sostanza che in soluzione acquosa libera ioni positivi H+ (detti cationi o protoni idrogeno).

 

Una base è invece una sostanza che in soluzione acquosa libera ioni negativi OH- (detti anioni).

 

 

Alcune molecole si comportano sempre da acidi, altre sempre da basi, ma esistono sostanze che possono comportarsi sia da acidi che da basi, cedendo cationi o anioni, a seconda dell’ambiente acquoso in cui si trovano disciolte: si parla in questo caso di sostanze anfotere. Una categoria di sostanze anfotere ben conosciuta ai frequentatori di palestre è quella degli amminoacidi.

 

Come si misura dunque il pH? Il pH non è altro che il logaritmo negativo in base 10 della concentrazione di ioni idrogeno liberi nella soluzione, espressi con una unità di misura di concentrazione spesso usata in chimica per le molecole e altre particelle di piccole dimensioni: le moli/litro. Dal punto di vista  matematico, il pH è dunque esprimibile così: pH = -Log10 [H+].

Le parentesi quadre, in chimica rappresentano le concentrazioni dei simboli che vi sono compresi in mezzo. Questa formuletta non sarebbe molto interessante per un operatore del fi tness, non fosse per quel numero 10 espresso dal logaritmo.

 

Questo perché una grandezza logaritmica in base dieci tende ad aumentare in modo caratteristico. Il logaritmo in base dieci di un qualsiasi numero, ad esempio 50, è la potenza a cui bisogna elevare 10, per ottenere appunto 50.

 

Questo vuol dire che due valori di pH apparentemente molto vicini tra loro, come 6 e 7 in realtà sono molto distanti.

 

 

Teniamo presente questa annotazione perché ci servirà in seguito.
Consideriamo ora la scala del pH comunemente usata. La neutralità di una soluzione si ha quando il numero di anioni idrogeno in essa contenuti equivale esattamente a quello di cationi.

 

Ovvero, secondo il formalismo chimico: [H+] = [OH-].

Una sostanza in questa condizione è detta neutra, e il suo pH è pari a 7. Un esempio di tale sostanza è la comune acqua distillata. Dato un valore centrale che rappresenta la neutralità, sette appunto, tutte le altre soluzioni acquose si collocano a destra o a sinistra di essa.

 

Convenzionalmente, sostanze comprese tra 0 e 6,5 sono considerate acidi. Le sostanze comprese tra 7,5 e 14 vengono considerate basi. Fig. 1
Per rendere l’idea, un acido cosiddetto forte è l’acido cloridrico (pH=0), acidi deboli sono la Coca-Cola (pH=2,5), l’aceto di vino (pH=2,9) e il comune caffè (pH=5). Basi deboli sono invece l’acqua di mare (pH=8) ed il bicarbonato di sodio (pH=9): una base forte è la comune varechina o ipoclorito di sodio (pH=12,5).

 

Chiarito tutto ciò, diamo ora un’occhiata al nostro ambiente extracellulare: fluidi, sangue e tutto ciò che permette il regolare svolgimento di tutte le attività metaboliche di un organismo.

Se misuriamo il livello di acidità medio del sangue umano (e aggiungerei, di quello della maggior parte dei vertebrati), osserviamo che esso si colloca tra 7,40 e 7,45.

Leggermente basico, quindi. Questo, e non altri, è il pH ottimale, dal cui mantenimento dipendono molte reazioni chimiche che permettono la vita degli organismi. In primis la corretta cinetica enzimatica. Cioè la funzionalità degli enzimi che sono i principali agenti catalizzatori delle reazioni che si svolgono nell’organismo.

 

 

Gli enzimi si sono evoluti e vengono prodotti in modo da funzionare al meglio in questo intervallo di pH. Da quanto detto finora, già si comprende come il mantenimento di questo ristretto intervallo di pH rappresenti una sfida cruciale per gli organismi viventi: perdere il controllo del pH e andare in acidosi, così come diventare troppo basico, cioè in alcalosi, significa mandare fuori controllo il funzionamento delle reazioni metaboliche.

Una eventualità da cui l’evoluzione ha messo al riparo i viventi, grazie alla presenza delle cosiddette soluzioni-tampone.

 

Come si controlla la sovrapproduzione di ioni H+ e OH-? Semplicemente facendo avvenire le reazioni in una soluzione che sia in grado di sequestrare prontamente cationi ed anioni prodotti in eccesso, così da contrastare ogni variazione del pH. Non ci sorprende dunque che tutti gli organismi viventi facciano affidamento a svariate soluzioni dette soluzioni-tampone. Negli esseri umani il sistema acido carbonico/carbonato è sicuramente il più noto, ma non l’unico, tra i sistemi-tampone che tengono sotto controllo il pH del sangue.

 

Vediamo come funziona.
La respirazione cellulare, come tutti sapete, ha due grandi protagonisti: l’ossigeno e l’anidride carbonica. Le cellule vengono rifornite di ossigeno attraverso la respirazione e l’ossigeno è veicolato dall’emoglobina, attraverso i globuli rossi.

 

Quel che è meno noto, è che, mentre l’ossigeno viene trasportato nella sua forma molecolare biatomica O2, l’anidride carbonica o CO2, una volta prodotta dal metabolismo cellulare, viene subito trasformata nella sua forma idratata, sotto forma di acido carbonico H2CO3.

In questa forma, essa si lega alla molecola di trasporto e solo una volta giunta ai polmoni essa si dissocia in HCO3 + H+.

 

La reazione complessiva si può scrivere così:

 

CO2 + H2O > H2CO3 (idratata) > HCO3-+ H+

 

Questa reazione può svolgersi benissimo anche in direzione opposta, ovvero essere scritta anche così:

 

HCO3-+ H+ > H2CO3 > CO2 + H2O

 

La direzione in cui procede questa reazione è principalmente determinata dalla presenza di ioni idrogeno liberi (evidenziati in grassetto, nella reazione), che vengono immediatamente sequestrati
dagli anioni HCO3.

Quando, a causa di un pasto o di un altro evento che aumenti la concentrazione di ioni idrogeno, si va in direzione di una potenziale situazione di acidosi, gli ioni idrogeno vengono immediatamente captati e il pH si rialza. Fig. 2
Al tempo stesso, i polmoni si comportano da modulatori del pH attraverso l’allontanamento di anidride carbonica. Esistono poi svariati altri meccanismi di controllo e tamponamento del pH che coinvolgono diversi distretti, oltre al torrente circolatorio, tra i quali i tubuli renali, che eliminano direttamente acidi e riassorbono il bicarbonato.

 

Quanto detto fin qui, dovrebbe aver convinto il lettore in merito a due realtà piuttosto ineluttabili: la prima è che esistono parametri fisiologici piuttosto stretti entro i quali l’organismo deve mantenersi per poter espletare le proprie attività metaboliche, e l’evoluzione ha dotato tutti gli organismi di sistemi assai più raffinati che non il controllo del pH attraverso gli alimenti per gestire l’ambiente extracellulare.

 

 

La seconda è che il pH OTTIMALE per l’organismo umano è già in una condizione di leggera basicità, e tende a ritornarvi in modo automatico.
Non vi è quindi nessuna “tendenza” del sistema ad acidificarsi, né tantomeno una necessità di aiutare il medesimo a restare leggermente basico.

 

Se ne conclude quindi che pensare di modificare permanentemente o, peggio, stabilizzare il proprio pH extracellulare su parametri diversi rispetto a quelli che l’evoluzione ha selezionato in milioni di anni, attraverso il controllo della dieta, è un po’ come provare a pilotare un Boeing 747, già provvisto di sistemi di navigazione integrati di bordo, di radar e di GPS, usando un sestante di rame come quelli che usavano le flotte fenicie per tracciare le rotte lungo le coste del Mediterraneo.
Chi si è interessato particolarmente di alimentazione “alcalina” non è un medico dietologo ma un chimico dell’Università dell’Insubria, Dario Bressanini.

 

Egli ci dice senza giri di parole che la “dieta alcalina” è priva di qualsiasi supporto scientifico: rifacendosi anche al conosciuto Salvo Di Grazia (medico, noto sul web come Medbunker), autore di un significativo libro Salute e Bugie, Ed. Chiarelettere, conferma che questo tipo di alimentazione ha avuto successo tramite il passaparola e trasmissioni televisive. Il solo alimento alcalino comunemente utilizzato è l’albume mentre quasi tutti gli altri (sia di origine vegetale che animale) sono acidi. Questa “dieta” non spiega perché un alimento acido dovrebbe essere “alcalinizzante”.
E poi alcalinizzare che cosa: il sangue, le urine, genericamente “il corpo”? Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

 

Una cosa basilare è che quando ci alimentiamo, tutti i componenti passano nello stomaco che avendo un pH molto basso (tra 1 e 2) acidifica pesantemente il bolo alimentare riversandolo poi nel duodeno e nella prima parte dell’intestino dove avviene l’assorbimento delle sostanze nutritive.

 

Quello che bisogna ricordare è che il nostro organismo può sopportare per pochissimo tempo delle variazioni del proprio pH (che è leggermente alcalino) senza avere alcun danno.

 

Come si è detto sopra i due apparati che intervengono per modulare l’equilibrio acido/base sono i reni e i polmoni.

 

Questi ultimi agiscono molto rapidamente, tamponando quanto occorre, aumentando di solito gli atti respiratori (oppure anche il contrario) reagendo ai recettori che segnalano l’alterazione della concentrazione dell’anidride carbonica.
I reni sono più raffinati e un po’ più lenti e agiscono eliminando l’eccesso tramite le urine, utilizzando meccanismi di secrezione o assorbimento allo scopo di riportare i valori nei limiti della normalità. Fig. 3

 

Gli studiosi ci dicono insomma che un sistema così complicato ha la finalità di non permettere variazioni del pH che sarebbero intollerabili per la salute: per assurdo basterebbe mangiare un pomodoro per rendere acido il plasma sanguigno e morire o assumere un cucchiaio di bicarbonato di sodio per avvelenarsi. L’organismo ha i mezzi per correggere piccole variazioni di pH (che avvengono ogni giorno), ma con variazioni improvvise e violente si cadrebbe inevitabilmente nel patologico.

 

Una review pubblicata nel giugno 2017 sull’International Journal of Sport Nutrition and Exercise Metabolism da Applegate C. e coll. dal titolo “Influence of Dietary Acid Load on Exercise Performance” conclude dicendo che non vi sono rilievi significativi nel miglioramento delle performance, mentre comunque risulta utile la qualità e la scelta degli alimenti, secondo le linee guida internazionali per una sana alimentazione. Sembra poter dire che è il segreto di Pulcinella.

Medbunker ci dice che molti fanno risalire l’origine di questa bizzarra teoria alle idee di un certo Robert Young, presunto medico (ha ottenuto una «laurea» online da un’università non riconosciuta che in seguito è stata chiusa per aver truffato i propri allievi) autore di un libro sull’argomento.
Mangiando in particolare frutta (non tutti i tipi), alcuni legumi, ma soprattutto evitando cibi acidi quali la carne, i grassi, i fritti, il nostro corpo ne risulterebbe «alcalinizzato», con un risultato eccezionale sulla salute. Questa dieta avrebbe la valenza di proteggerci da molte malattie e addirittura di avere una funzione antitumorale. Chi ha letto il libro afferma che: “… è un insieme di madornali errori alimentari, ricco di invenzioni, veri e propri strafalcioni e assurdità”.

 

L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha esplicitamente espresso che: “L’idea che sia possibile combattere il cancro rendendo basico il pH dei tessuti con un intervento esterno è priva di fondamento scientifico. Gli studi che sostengono un nesso tra dieta alcalina e benefici per la salute sono basati su correlazioni che non hanno un nesso di causa ed effetto: relazioni apparenti tra due fenomeni che hanno invece un’altra causa”. In un lavoro di Fenton T. e coll. pubblicato sul British Medical Journal nel 2016 si conclude dicendo: “Promotion of alkaline diet and alkaline water to the public for cancer prevention or treatment is not justified”.

 

Il significato di mangiare meno fritti, meno carne rossa, meno insaccati, meno cibi lavorati sta nelle linee guida internazionali e fin dai tempi di Ancel Keys si ritrovano nella dieta mediterranea che prevede un’alimentazione ricca di frutta e verdura, alimenti integrali, olio di oliva e abbondante idratazione.

 

Chi sostiene di sentirsi meglio con una dieta “alcalina” in realtà trae beneficio da una maggiore consapevolezza di cosa mangia e dalla scelta di alimenti più salutari.

Insomma, per dirla come Bressanini e Di Grazia, qualora un individuo decidesse di nutrirsi con una dieta pesantemente alcalina, potrebbe «spostare» il pH del suo sangue (di poco) verso l’alcalinità ma solo per brevissimo tempo, e quindi non si avrebbe alcun beneficio in nessun contesto. Per questi motivi è chiaro che non esiste una «dieta alcalina» , non vi è modo (e comunque non sarebbe salutare) di «alcalinizzare» ulteriormente il sangue.

 

Non va dimenticato inoltre il fatto che un alimento è formato da molte componenti (es. magnesio e potassio, caffeina, resveratrolo, ecc.) e sono queste che specificamente apportano beneficio al nostro corpo.
Non confondere quindi il tutto con una parte.

 

Concluderemmo con una simpatica considerazione di Salvo Di Grazia:
“Esistono anche alcuni «integratori» in vendita che avrebbero lo scopo di «alcalinizzare» l’organismo. Visto quello che sappiamo a proposito del pH sono due le cose: o questi integratori non fanno nulla o sono molto pericolosi per la salute. Io propendo per la prima ipotesi, con il danno al portafoglio in aggiunta, che sempre danno è”.

 

 

 

 

di Simone Masin M. Sc, PhD, M.ES Università Bicocca di Milano & Silvano Busin Direttore Scientifico ISSA Europe

 

 

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