Nove miliardi di euro l’anno è la spesa sociale che si sobbarca lo stato italiano (noi) riguardo all’obesità.
Che la lotta riguardo alla perdita di massa grassa sia un business lo sappiamo, così come siamo consapevoli dell’inutilità di diete lampo che sono, oltre che inutili, anche dannose.
Le persone, dal punto di vista biochimico, differiscono ampiamente tra di loro, pur avendo spesso una tendenza ereditaria ad accumulare grasso corporeo.
Questo sembra ovvio ma, alcune teorie hanno evidenziato che ogni persona è preposta ad essere a un determinato livello di grasso corporeo e che il corpo tornerà sempre a questo livello.
Niente di più sbagliato! La quantità di lipidi abituali non è definita da geni ma è causata da ciò che si fa e da ciò che si mangia.
Il grasso dipende molto dallo stile di vita. Il corpo non ha un sistema di riferimento interno ma ha solamente un “livello abituale”. Se si rimane ad un livello particolare di grasso per uno, due o più anni, svilupperemo cellule adipose, capillari, enzimi, nervi periferici, ormoni e tessuti connettivi per supportarlo. Il nostro corpo riconoscerà il proprio livello di grasso e lo difenderà strenuamente. Questo è chiamato “fat point” (soglia adiposa). L’organismo controlla costantemente questa soglia con dei messaggeri ormonali che allertano il cervello anche quando un solo grammo di grasso è utilizzato come carburante.
Appare quindi scontato che la solita pubblicità “dieci chili in dieci giorni” non può funzionare nel modo più assoluto. Abbassando il metabolismo, aumentano le riserve di grasso, aumenta l’appetito e, quindi, il “fat point” è ancora più ben difeso.
Alcuni studi dimostrano che ci vogliono anni prima di ingrassare, pur mangiando molto. In altre parole il corpo sposta questa soglia verso l’alto molto lentamente. Per spostarlo verso il basso, bisogna operare nello stesso modo, cioè altrettanto lentamente.
La prima regola per la diminuzione del grasso corporeo è di perderne al massimo mezzo chilo per settimana (perdita fisiologica alternando giorni di ipocalorica, isocalorica a ipercalorica). Oltre potrebbe essere un segnale di allarme non corretto.
Nel primo periodo (1-2 mesi) si vedranno dei cambiamenti non importantissimi ma, successivamente, la percentuale di grasso scenderà anche del 3-6%. Nel frattempo, però, avremo rimodellato cellule adipose, ormoni, enzimi, capillari e gli altri tessuti. A seconda della percentuale di grasso iniziale si tornerà alla normalità senza aver intaccato una singola difesa corporea.
VIAGGIO NEL MONDO DEL GRASSO
La FM (Fat Mass o massa grassa) è la differenza tra peso corporeo e massa magra (FFM Fat Free Mass). Per massa grassa si intende la parte di massa (peso) di un organismo costituita dall’organo adiposo, ovvero dal grasso corporeo.
La massa grassa comprende a sua volta il tessuto adiposo bianco, bruno e i trigliceridi intramuscolari, oltre che il grasso essenziale.
La massa grassa si definisce per la quantità di adipociti e il loro grado di riempimento. La quantità di adipociti in un organismo dipende da fattori genetici e ormonali, mentre il riempimento varia a seguito di stati di nutrizione ipo o ipercalorica o di differenza sostanziale tra cibo introdotto e calorie spese.
Le situazioni che promuovono la proliferazione di adipociti, a lungo andare, portano a sovrappeso, i fattori che fanno deperire gli adipociti portano invece a sottopeso.
Le funzioni del tessuto adiposo bianco o giallo sono:
1.Funzione meccanica: occupa interstizi, riveste nervi, vasi e i muscoli, riempie alcuni interstizi del midollo osseo e funge da “cuscinetto” protettivo in parti del corpo diverse in base all’età e al sesso.
2.Funzione termoisolante: il grasso non conduce il calore, per cui non disperde il calore generato dall’organismo.
3.Funzione di riserva: la membrana citoplasmatica dell’adipocita contiene la lipoproteinlipasi, un enzima che scalza i lipidi dalle loro proteine vettrici (lipoproteine epatiche o chilomicroni enterici) e li scinde in glicerina e acidi grassi che passano la membrana ed entrano nel citoplasma, dove sono riconvertiti in lipidi.
La conversione in lipidi può essere anche fatta da glucosio. Inoltre, gli adipociti possiedono anche la lipasi ormone-dipendente, che agisce tagliando i trigliceridi in glicerina e acidi grassi, su stimolo dell´ormone della crescita, testosterone, glucagone, dell’adrenalina, della tiroxina, della triiodotironina e del neurotrasmettitore noradrenalina. Questo fa sì che i prodotti della lisi fuoriescano dalla cellula e s’attacchino all’albumina ematica per essere portati dove ce n’è bisogno.
Oltre a queste tre, ci sono altre importanti funzioni di questo tessuto come parte integrante della regolazione dell’appetito e della regolazione del metabolismo oltre che coinvolto nelle funzioni della fertilità umana.
Regola inoltre in misura rilevante la formazione e la differenziazione di cellule ematiche, è coinvolto nei processi della coagulazione del sangue e gioca un ruolo centrale in diversi meccanismi di difesa immunitaria aspecifici e specifici, cellulari e umorali. Nel caso di infezioni, libera dei mediatori immunitari che attivano e stimolano le difese immunitarie. Gli estremi stati di sottopeso (BMI<18 kg/m^2) e di sovrappeso (BMI>42 kg/m^2) possono indurre stati infiammatori cronici.
Il cortisolo e gli androgeni lo fanno accumulare prevalentemente nell’addome e in generale nella parte alta del corpo (biotipo androide), mentre gli estrogeni tendono a distribuirlo soprattutto nella zona glutei, cosce, arti inferiori (biotipo ginoide).
La massa grassa di un uomo adulto sano è di circa 10-15%, di una donna il 20-25% del peso, altrimenti è considerato sottopeso (se ne ha molto meno) o sovrappeso (se ne ha poco più) oppure è affetto da obesità (più o meno grave, secondo la quantità di grasso). È impossibile che cellule di questo tipo muoiano spontaneamente, mentre è possibile che si riduca di molto il loro volume, soprattutto con l’esercizio fisico. D’altro canto recenti ricerche hanno dimostrato come una dieta ricca di grassi idrogenati possa favorire la trasformazione degli adipociti in “adipoblasti” che, riproducendosi, provocherebbero l’ispessimento dello strato adiposo.
Il tessuto adiposo bruno BAT (BROWN ADIPOSE TISSUE)
è costituito da cellule adipose multiloculari (al contrario dei normali adipociti non hanno un’unica goccia lipidica ma tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e lo rendono quindi più disponibile per il metabolismo cellulare), è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l’elevata vascolarizzazione. Il tessuto adiposo bruno ha esclusivamente la funzione di produrre calore perché i mitocondri delle cellule adipose multiloculari hanno meno ATP sintetasi, l’enzima che catalizza la sintesi dell’ATP, a partire dall’ADP, da fosforo inorganico e dall’energia derivante dalla respirazione cellulare.
LEPTINA E GRELINA:
La leptina e la grelina sono due ormoni che giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi molecolari che regolano l’appetito e il senso di sazietà, insieme ad alcuni processi mentali.
Il cervello, infatti, è in grado di controllare il metabolismo basandosi sulle aspettative. Tali effetti dipendono sempre dai segnali nell’ipotalamo: la regione del cervello deputata a mantenere l’equilibrio energetico.
Vediamo come questi due aspetti, quello mentale e quello legato agli ormoni, interagiscono determinando l’accumulo di chili.
La leptina è l’ormone che rappresenta lo stato delle riserve lipidiche dell’organismo ed è secreto principalmente dalle cellule adipose bianche. Più mangiamo e più accumuliamo grasso e maggiore è la concentrazione di leptina nel sangue. Le persone obese hanno livelli molto elevati di leptina. La secrezione non è però influenzata solo dal grado di adiposità e dal bilancio calorico, ma anche dalla concentrazione ematica di alcuni ormoni come testosterone, estrogeni, adrenalina e glucocorticoidi.
Non è stato a oggi chiarita l’influenza dell’attività fisica sulla sua secrezione ma sembrerebbe che quando l’attività fisica è superiore all’introito calorico avvenga un abbassamento dei livelli di leptina, cioè una diminuzione dell’attività termogenica. Si può comunque ipotizzare che un deficit calorico prolungato (testimoniato da un calo di leptina) dovuto ad allenamenti troppo dispendiosi e non supportati da una dieta adeguata possa causare uno stato di affaticamento che può sfociare nell’overtraining. Se la leptina regola le quantità di cibo da assumere, la grelina, invece, stimola l’appetito. Oltre che nello stomaco, è prodotta dai neuroni in una zona dell’ipotalamo e aumenta in caso di stress cronico, una condizione che favorisce l’assunzione di cibi altamente calorici e ricchi di grassi (“comfort food”).
È IL GRASSO VISCERALE, tipicamente maschile, e non quello sottocutaneo a creare possibili problemi di salute riducendo statisticamente l’aspettativa di vita.
A parità di grasso, averlo vicino agli organi anziché essere distribuito in modo omogeneo si traduce in un aumento dei rischi per la salute.
Il grasso addominale è predittivo di possibili problemi cardiovascolari, anche se c’è da aggiungere che è un grasso più facilmente attaccabile dall’allenamento e dall’alimentazione.
Nei giovani adulti circa la metà del grasso corporeo è sottocutaneo, il resto è grasso profondo o viscerale e con l’invecchiamento aumenta fisiologicamente rispetto a quello sottocutaneo.
Il grasso viscerale è strettamente correlato all’aumento di produzione di interleuchina 6 (IL6), molecola infiammatoria a sua volta legata a problemi come diabete e infarto (Istituto Superiore di Sanità Italiana e Americana; “Diabetes”).
Il 40% delle persone in apparenza magre presentano un accumulo di grasso viscerale.
Secondo uno studio pubblicato su “Lancet”, condotto su 168.159 pazienti, un’elevata obesità addominale al momento dell’infarto è presente nel 46,5% degli uomini e nel 45,6% delle donne.
La semplice presenza di obesità addominale aumenta di oltre il doppio il rischio di infarto nella popolazione in esame rispetto a quella di controllo. L’obesità addominale da sola appare responsabile di quasi un infarto su cinque in entrambi i sessi.
Dall’altra parte il grasso gluteo-femorale, quello tipicamente femminile, espone meno a possibili problemi cardiovascolari, anche se è un grasso scarsamente attaccabile e ben difeso dalla barriera enzimatica e ormonale.
Ad esempio, l’enzima deputato ad accumulare grassi, l’AT-LPL o lipasilipoproteica ha un’attività sviluppata soprattutto nella zona gluteo-femorale, ed è regolata da estrogeni e progesterone, ormoni tipicamente femminili (Ltchell & Boberg, 1978). Il post-menopausa rappresenta il periodo di maggior predisposizione per l’aumento del grasso viscerale. In tal caso il rischio diventa simile o uguale a quello del maschio.
Il tessuto adiposo viscerale sembra essere il tipo di grasso più pericoloso per la salute perché più connesso con il rischio cardiovascolare, l’insulinoresistenza, il diabete di tipo 2, varie complicanze metaboliche e l’aterosclerosi.
Sebbene dissociato dal grasso viscerale, anche il grasso sottocutaneo addominale è connesso con il grasso viscerale tramite l’esposizione a patologie come l’insulinoresistenza.
Sebbene il grasso viscerale sia il sito di accumulo lipidico maggiormente associato alle malattie metaboliche, di recente sono sta te segnalate anche delle correlazioni tra il grasso viscerale e il grasso epatico, ed è stato osservato che un aumento del grasso epatico sia associato alle stesse anomalie metaboliche legate ad un aumento del grasso viscerale. Di conseguenza, il grasso sottocutaneo addominale e il grasso intraepatico sono connessi entrambi con le stesse problematiche legate al grasso viscerale.
Il grasso viscerale o VISCERAL ADIPOSE TESSUE (VAT) è più soggetto alla lipolisi, cioè al processo metabolico che prevede il catabolismo o la mobilizzazione dei grassi depositati, i trigliceridi, che vengono scissi a tre molecole di acidi grassi e una di glicerolo e immessi nel torrente sanguigno tramite la vena porta.
Il VAT è sensibile all’azione delle catecolamine (adrenalina, noradrenalina), molecole associate al processo della lipolisi. La noradrenalina sembra inoltre avere un effetto maggiormente lipolitico rispetto all’adrenalina. È inoltre meno sensibile all’insulina, ormone che provoca il processo inverso, la lipogenesi, cioè il deposito o l’accumulo di grassi (ingrassamento).
Le catecolamine sono prodotte in particolari condizioni come l’attività fisica, l’ipoglicemia, o l’esposizione al freddo.
Non a caso la perdita di grasso indotta dall’esercizio fisico è maggiore nel tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo a livello addominale, rispetto ad altre aree come quella femorale. Per la precisione è stato riscontrato che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover, i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento.
Infatti anche le cellule adipose sottocutanee a livello addominale sono più sensibili all’effetto lipolitico delle catecolamine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nella regione della coscia. Quindi la lipolisi degli adipociti a livello omentale (a livello profondo) sono più sensibili alla stimolazione β-adrenergica se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, mentre sono meno sensibili alla soppressione della lipolisi da parte dell’insulina in entrambi i sessi.
Elevati livelli di insulina sopprimono la lipolisi per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto alle regioni corporee inferiori. Riassumendo, il grasso addominale (viscerale) porta a maggiori problemi cardiovascolari, ma è più facile da smaltire con allenamento e alimentazione.
Il Grasso gluteo-femorale crea scarsi problemi cardiovascolari, ma è difficile da smaltire con allenamento e alimentazione.
Differenze regionali sono state ritrovate anche nella captazione di glucosio basale o indotta dall’insulina. La captazione di glucosio è maggiore nel grasso viscerale rispetto a quello sottocutaneo per via di una maggiore distribuzione dei trasportatori di glucosio GLUT-4. Tuttavia, mentre gli adipociti viscerali sono resistenti all’effetto anti-lipolitico dell’insulina se comparati agli adipociti addominali sottocutanei, non sono state osservate differenze nella captazione di glucosio legate alla sensibilità insulinica.
I risultati suggeriscono che l’azione dell’insulina può essere diversamente alterata a seconda delle zone di accumulo adiposo negli individui con obesità viscerale, e sarebbero poco legati alle differenze regionali nelle dimensioni degli adipociti. Negli uomini e donne sani, circa il 5-10% degli acidi grassi liberi (FFA) immessi nella vena porta originano dalla lipolisi del grasso viscerale. Esperimenti in vivo dimostrano che anche se la lipolisi del tessuto adiposo viscerale contribuisce di norma a rilasciare una ridotta proporzione degli FFA totali in circolo, il contributo dei depositi viscerali aumenta fino al 50% nel rilascio di FFA in caso di accumulo di grasso viscerale. Se è presente un eccesso di grasso viscerale e si tende a rilasciare grasso nel sangue costantemente, il metabolismo si orienterà più su di essi. Lasciando da parte gli zuccheri.
Si verranno inevitabilmente a creare dei picchi di glicemia cronica con un più probabile insorgere o peggiorare dell’insulinoresistenza. Il rilascio di acidi grassi durante la lipolisi sarebbe positivo se questi venissero utilizzati per il dispendio energetico.
In caso contrario diventa un problema e l’insulinoresistenza ringrazia.
Dal momento che l’eccesso di grasso viscerale è positivamente correlato con un aumento della lipolisi e dell’insulinoresistenza, il rilascio di FFA da questo tessuto altamente sensibile viene incrementato in particolari condizioni. La lipolisi aumenta in proporzione all’accumulo di grasso viscerale, quindi per gli uomini e le donne con una predisposizione all’accumulo in questa area, tale tessuto contribuisce al rilascio di circa il 50% degli FFA nella vena porta. In base a queste conclusioni, il grasso viscerale è connesso con alti livelli di VLDL nel periodo post-prandiale nei soggetti insulinoresistenti. Di conseguenza l’aumento del flusso di FFA nella vena porta può contribuire ad alterare la funzione epatica (le VLDL sono prodotte dal fegato).
Il Tessuto adiposo sottocutaneo o periferico detto anche Grasso sottocutaneo o periferico, all’inglese Subcutaneous adipose tissue (SCAT) o Subcutaneous fat, rappresenta quella parte del tessuto adiposo bianco (WAT) situata al di sotto della pelle, la cui distribuzione è prevalente nelle zone inferiori del corpo (zona gluteo-femorale) e nell’area addominale superficiale.
Anche il tessuto adiposo sottocutaneo addominale può essere una tipica zona di accumulo, che non è da confondere con il tessuto adiposo viscerale, quello cioè addominale profondo, situato tra organi interni.
Come è stato detto, il grasso sottocutaneo addominale e il grasso viscerale sono uniti dallo stesso comun denominatore: l’insulinoresistenza e patologie metaboliche.
È stato dimostrato che il tessuto adiposo sottocutaneo è la maggiore fonte di acidi grassi liberi (FFA o NEFA) circolanti, e contribuisce al rilascio nel sangue di più dell’85% degli FFA, al contrario del grasso viscerale, che in condizioni normali contribuisce al rilascio di solo il 5-10% degli FFA.
Rispetto al grasso viscerale, il grasso sottocutaneo è più sensibile all’azione lipogenetica (accumulo di grasso) dell’insulina, l’ormone responsabile dell’accumulo di grassi nel tessuto adiposo. Questo significa che l’attività dell’insulina (prevalentemente in risposta all’ingestione di carboidrati) sopprime maggiormente il rilascio di grassi (lipolisi) nel tessuto adiposo sottocutaneo.
La lipolisi è il processo metabolico che prevede il catabolismo o la mobilizzazione dei grassi depositati, i trigliceridi, che vengono scissi a tre molecole di acidi grassi e una di glicerolo e immessi nel torrente sanguigno. È stato osservato che l’insulina sopprime la lipolisi, per circa la metà nel tessuto adiposo viscerale rispetto ai depositi sottocutanei delle regioni inferiori. In altri termini il grasso viscerale è più facilmente soggetto al rilascio di acidi grassi nel sangue rispetto a quello sottocutaneo perché meno sensibile all’attività insulinica.
Tale osservazione coincide col fatto che i depositi di grasso viscerale hanno il maggiore tasso di turnover (ricambio), i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (posto più superficialmente rispetto a quello viscerale) hanno un tasso intermedio, mentre i depositi sottocutanei nella zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento.
Un altro motivo per cui il grasso sottocutaneo è meno soggetto al ricambio e al rilascio o mobilizzazione di acidi grassi, è la minore sensibilità alle catecolamine se comparato al grasso viscerale.
La catecolamine, essenzialmente rappresentate da adrenalina e noradrenalina, sono associate al processo della lipolisi. Per la precisione, in linea con i punti precedenti, gli adipociti a livello viscerale sono più sensibili alla lipolisi e dunque alla stimolazione β-adrenergica delle catecolamine se comparati agli adipociti sottocutanei addominali, che a loro volta sono più sensibili all’effetto lipolitico delle catecolamine rispetto alle cellule adipose sottocutanee situate nelle regioni inferiori.
I trigliceridi intramuscolari, o intramiocellulari, o grasso intramuscolare, talvolta denominati con l’acronimo IMTG, dall’inglese Intra Muscular Tri-Glycerides, rappresentano i depositi di lipidi (trigliceridi) situati all’interno del muscolo scheletrico.
Questa componente costituisce approssimativamente circa il 10-15% del volume della cellula, ed è maggiormente presente nelle fibre rosse (o di tipo 1), naturalmente provviste di maggiori depositi per il loro metabolismo in prevalenza aerobico.
Gli IMTG non sono da confondere con i trigliceridi extramuscolari, extracellulari, o intermuscolari, cioè i depositi posti tra le fibre muscolari, e non all’interno dei miociti.
La mobilitazione e/o ossidazione degli IMTG durante l’esercizio fisico sembrano essere in gran parte determinate dal tipo, dall’intensità, e dalla durata dell’esercizio, dalla composizione di macronutrienti nella dieta, dallo stato di allenamento, dal sesso, e dall’età. Inoltre, evidenze indirette suggeriscono che la capacità di mobilitare e/o ossidare IMTG è sostanzialmente compromessa nell’obesità e/o nello stato di diabete mellito di tipo 2.
Il grasso epatico, detto anche grasso intraepatico (IHF) o trigliceridi intraepatici (IHTG), rappresenta le riserve di grasso situate nel fegato. Il grasso contenuto nel fegato che non è correlato al consumo cronico di alcol, denominato steatosi epatica non alcolica (NASH, non-alcoholic hepatic steatosis o NAFLD, nonalcoholic fatty liver disease), è strettamente legato all’obesità, al diabete mellito di tipo 2 e alla severa insulinoresistenza. La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) colpisce circa il 30% degli adulti e una maggioranza degli individui obesi.
Gli obesi più anziani sono esposti ad un rischio particolarmente elevato per lo sviluppo della steatosi epatica non alcolica (NAFLD) perché sia l’obesità che l’invecchiamento sono associati ad un aumentato accumulo di grasso epatico. Oltre ad aumentare la morbilità e la mortalità per malattie del fegato e cancro, il grasso epatico in eccesso rappresenta un fattore indipendente di rischio per le malattie cardiovascolari, l’insulino-resistenza, il pre-diabete e il diabete di tipo 2.
Sebbene il sito di accumulo lipidico maggiormente associato alle malattie metaboliche sia il tessuto adiposo viscerale, di recente sono state segnalate delle correlazioni tra il grasso viscerale e il grasso epatico, ed è stato osservato che un aumento del grasso epatico sia associato alle stesse anomalie metaboliche legate ad un aumento del grasso viscerale. Pertanto, è stato suggerito che non sia dannoso il grasso viscerale di per sé, quanto piuttosto sia il grasso epatico la causa delle complicanze metaboliche dell’obesità.
Il grasso corporeo essenziale o primario rappresenta nell’uomo quella parte del gasso corporeo necessario per le normali funzioni fisiologiche del corpo. Queste riserve sono le componenti minori della totale massa grassa (Fat mass, FM), assieme alle riserve lipidiche. Contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, il grasso primario viene incluso anche all’interno della massa magra (Lean Body Mass, LBM) per la sua essenziale funzione fisiologica e per il fatto di non essere intaccato, in condizioni normali, dai processi di dimagrimento. Mentre questo viene escluso nel determinare la massa magra alipidica (Fat Free Mass, FFM), che rappresenta ciò che resta dell’organismo dalla completa privazione di tutta la componente lipidica.
Ho seguito molti atleti e molte persone in questi anni. Da chi ha vinto un’olimpiade, un mondiale, campionati d’Europa a chi voleva semplicemente un fisico migliore. Molte volte sono riuscito a farli migliorare, alcune volte no. Questo mi ha fatto capire che solo continuando a studiare e a confrontarmi potrò essere in grado di essere d’aiuto per tutti. Il mio confronto quotidiano è con i colleghi, clienti, studiosi, atleti. Tutti sono in grado di essermi d’aiuto e ogni giorno imparo qualcosa.
Vi sono persone o atleti che hanno dalla loro una genetica favolosa, fisici statuari ma che, nonostante questo, hanno ancora voglia di migliorare, per loro stessi prima di tutto, e questo attraverso sacrifici e rinunce. Esempi da imitare!
Invece di vivere di rendita si allenano duramente e si alimentano con disciplina al contrario di molti che si sono invece rassegnati a convivere con le scuse per paura o convinzione di non farcela.
a cura di Claudio Suardi MFS Direttore Tecnico ISSA Europe
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